Sarei felice se… E invece no!

Citazione Consigliata: Enzo, C. (2018). Sarei felice se… E invece no! [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2018/09/24/sarei-felice-se-e-invece-no

 

Capita spesso che in un percorso di psicoterapia ci si trovi a discutere con i propri pazienti su cosa sia la felicità e come fare per raggiungerla.

Questo tema a dire il vero è stato ampiamente trattato sia dai filosofi che dagli storici, praticamente da sempre, e vi è una letteratura immensa sull’argomento. Secondo Aristotele, ad esempio, la felicità è rappresentata da uno stile di vita in grado di accrescere le migliori caratteristiche dell’essere umano. Nella Dichiarazione d’indipendenza americana del 4 luglio 1776, i padri costituenti avevano stabilito che tutti gli uomini avessero il diritto alla felicità, mentre negli Emirati Arabi esiste addirittura un ministero ad hoc. Vi è anche un corso tenuto nella prestigiosa università di Yale che verte su tale argomento, chiamato “Psychology and the good life”.

Tuttavia, rimane molto difficile definire cosa sia davvero la felicità. Ci sono infatti molte teorie naïves su di essa. Generalmente, nelle società occidentali si pensa che per raggiungere questo tanto desiderato stato basti ottenere ciò che si vuole. Si pensi infatti a quanto si viene costantemente bombardati da messaggi che fanno appello al raggiungimento della felicità grazie alla crema rassodante, alla macchina nuova, alla vacanza perfetta, e via dicendo.

Spesso si sentono iniziare discorsi con frasi del tipo “se solo avessi la ragazza che vorrei”, “se solo avessi tutti quei soldi”, ”se solo avessi quel posto di lavoro”, e che si concludono con un immancabile “allora sì, che sarei felice”.

Ma è davvero così?

Una famosa frase di Oscar Wilde recita: “A questo mondo vi sono solo due tragedie: una è non ottenere ciò che si vuole, l’altra è ottenerlo. Questa seconda è la peggiore ed è la vera tragedia”

Il problema è che a volte riusciamo ad ottenere esattamente ciò che tanto desideravamo, ma scopriamo poi con enorme rammarico che non siamo comunque felici.

Ma perché al raggiungimento del desiderio non ne consegue la soddisfazione immaginata?

A quanto pare, ritenere che delle cose esterne possano renderci felici in maniera stabile è un bias, ovvero un errore di ragionamento, che Kahneman (2011) chiama “miswanting”.

Inoltre alcune ricerche suggeriscono che quando pensiamo ad eventi futuri, tendiamo a immaginarci un evento molto specifico, che molto inverosimilmente corrisponderà all’evento che nella realtà esperiremo (Dunning, Griffin, Milojkovic & Ross, 1990; Robinson, Keltner, Ward & Ross, 1995). Per tale ragione si crea un divario tra l’ “ideale desiderato” e il “reale ottenuto”, da cui consegue la nostra insoddisfazione.

Ad esempio, quando una mia cara amica mi chiede di andare a mangiare una pizza, immagino un evento preciso: pizze croccanti, poca gente, musica dal vivo di sottofondo. Fantastico anche su come mi sentirò in merito: rilassata e contenta. Tuttavia non prendo in considerazioni molte variabili e probabilmente l’evento sarà assai diverso da come l’ho immaginato.

Ma se invece si riuscisse a fare esattamente l’esperienza immaginata di ciò che si desidera?

Come suggeriscono alcuni autori (Gilbert &Wilson, 2000), anche quando si ha un’idea molto accurata di cosa comporterà un evento, non si è al contempo precisi sul predire come reagiremo ad esso. Perciò formuliamo teorie fallaci su chi siamo e su cosa ci piacerà. I nostri desideri, come qualsiasi altra previsione, sono suscettibili di errore. Si possono mal interpretare sia gli eventi che le nostre emozioni, e inoltre anche se possiamo avere un’idea di cosa ci renda felici nel breve termine, non siamo capaci di predire come tale oggetto, persona o evento ci farà sentire poi nel lungo termine.

Di sicuro la felicità non può rappresentare uno stato permanente, in cui non si ha mai un minimo turbamento, un po’ di ansia o un dubbio. In realtà, non sarebbe nemmeno auspicabile una vita del genere poiché escluderebbe l’uso dell’intelletto.

Forse occorrerebbe dar minore credito alle aspettative di felicità inerenti al raggiungimento di un oggetto esterno, focalizzandosi maggiormente sull’esperienza che facciamo di altre piccole cose. Nel famoso corso di Yale, citato all’inizio, si insegna infatti il savoring, ovvero il riuscire ad assaporare il momento presente vivendolo pienamente, come pratica per il raggiungimento della felicità (Jose, Lim & Bryant 2012). Che sia questo il segreto?

 

Dott.ssa Consuelo Enzo

Psicologa Psicoterapeuta

(Iscrizione all’Ordine degli Psicologi della Toscana n° 6691 )

 

 

Bibliografia

Dunning, D., Griffin, D.W., Milojkovic, J., & Ross, L. (l990).The overconfidence effect in social prediction. Journal of Personality and Social Psychology, 58, 568-581

Gilbert, D. T., & Wilson, Timothy D. ”Miswanting: Some problems in the forecasting of future affective states.” In Thinking and feeling: The role of affect in social cognition, edited by Joseph P. Forgas, 178-197. Cambridge: Cambridge University Press, 2000.

Jose, P., Lim, B.T., & Bryant, F.B. (2012). Does savoring increase happiness? A daily diary study. The Journal of Positive Psychology: Dedicated to furthering research and promoting good practice, 7:3, 176-187.

Kahneman, D. (2011). Thinking, fast and slow. NY: Farrar, Straus and Giroux.

Paul E. Jose, Bee T. Lim & Fred B. Bryant (2012) Does savoring increase happiness? A daily diary study, The Journal of Positive Psychology, 7:3, 176-187.

Robinson, R. J., Keltner, D., Ward, A., & Ross, L. (1995). Actual versus assumed differences in construal: “Naive realism” in intergroup perception and conflict . Journal of Personality and Social Psychology,68,404-417.

 

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