LA DE-UMANIZZAZIONE VISTA DALLA PSICOLOGIA: RISCHI E SOLUZIONI

Citazione Consigliata: Enzo, C. (2018). La de-umanizzazione vista dalla psicologia: rischi e soluzioni [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2018/12/13/la-de-umanizzazione

“Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte del tutto.”

John Donne, Devotions XVVII

 

Spesso si tende a pensare che gli orrori del passato non potranno mai più ripetersi. Le nostre menti non riescono a comprendere come si siano potuti verificare eventi quali i genocidi, l’apartheid, Hiroshima, Guantánamo, e numerosi altri.

Si tende a pensare che chi ha reso possibile l’attuarsi di tali brutalità sia necessariamente “folle” in modo da vedere tali eventi come lontani, impossibili e poterli categorizzare fra le “cose che non possono certo capitare a noi”.

La ricerca psicologica ha quindi cominciato a chiedersi cosa portasse un uomo o un gruppo di persone a diventare così “poco umani”, ovvero si è interrogata sul triste e pericoloso processo della “deumanizzazione”, a partire dalle atrocità commesse dopo la seconda guerra mondiale.

Un libro di circa cinquant’anni fa dal titolo “La banalità del male”, scritto da una filosofa ebrea tedesca, descrive il caso Eichmann, un noto gerarca nazista che mandò a morte certa moltissime persone e che, paradossalmente, non risulta né sadico né perverso. La sua linea di difesa si basò sul “stavo solo eseguendo degli ordini”, e cioè una palese forma di “crimine di obbedienza”.

Contro le nostre più ottimistiche aspettative, gli studi di psicologia sociale (Milgram,1974; Zimbardo,1972) hanno dimostrato che le persone possono obbedire agli ordini di figure autoritarie, anche se malevole. Tuttavia, anche se molti eseguono gli “ordini”, non tutti lo fanno.

Come diceva Don Milani “L’obbedienza non è l’unico modo di amare la legge. Lo è anche cercare di cambiarla se essa non tutela i più deboli”.

La deumanizzazione prevede la negazione dell’umanità dell’altro, delegittimandolo al fine di escluderlo e potenzialmente fargli del male (Volpato, 2011; 2012). Tutta la storia è costellata da esempi di questo tipo. Durante la colonizzazione del Nuovo Mondo, alla corte di Carlo V si disquisiva sull’umanità delle popolazioni indigene, nutrendo dubbi sulla loro natura, secondo alcuni più da scimmia che da uomo (Stannard, 1992).

Durante il Medioevo si perseguitavano le cosiddette “streghe”, deumanizzando alcune donne che minavano lo status quo, col fine di poter debellare ogni forma di ribellione femminile (Volpato, 2013).

La propaganda nazista aveva posto l’enfasi su una profonda disumanizzazione degli ebrei, paragonandoli ad animali (quali avvoltoi, topi, serpenti), a demoni (furono definiti gli “uccisori di Dio”) e ad elementi patogeni (virus, batteri, veleni).

Secondo alcuni studiosi (Leyens et al., 2000) oggi si assiste a fenomeni di “infra-umanizzazione”, ovvero un processo in cui i membri dei gruppi dominanti tendono a percepire come meno umane le persone appartenenti ad altri gruppi.

Di recente uno psicologo (Bruneau et al., 2015) ha proposto di misurare il livello di disumanizzazione tramite un diagramma, in cui è rappresentata la conquista della posizione eretta dalla scimmia all’uomo, attraverso cinque passaggi. Partendo da ciò, lo studioso ha chiesto a persone appartenenti a varie etnie e culture di indicare dove collocassero se stessi e gli altri gruppi etnici all’interno del diagramma. I risultati mostrano il grado di umanità assegnato da ciascuno: in tutti i casi, almeno uno dei gruppi diversi dal proprio, non ha definito come “umani” tutti gli altri. Assurdo? Sì, a maggior ragione se si considera che questo studio è stato fatto ai tempi nostri, non durante i totalitarismi.

Che fare quindi? Quali soluzioni?
Sicuramente è fondamentale incentivare un’educazione civica che spinga i cittadini a opporsi, quando l’autorità del momento spinge verso il compimento di azioni illegali o immorali.

Occorre sensibilizzare verso la capacità di sentire qualsiasi tipo di ingiustizia, cercando di vincere la vergogna che ci spinge a non agire di fronte a qualcosa di brutto che sta succedendo in un luogo pubblico, sposandoci erroneamente su un senso di diffusione di responsabilità (Darley & Latané,1968).

Pertanto è necessario diventare consapevoli che ognuno di noi è responsabile, secondo la sua misura, di ciò che avviene e che “non toccherà a nessun altro”. Si può tentare di essere maggiormente attivi di fronte al mondo dell’informazione: quando non abbiamo un’idea chiara su un argomento, tendiamo ad affidarci al pensiero di qualcun altro, dando per scontato che affermi la verità. Ma, non sarebbe più opportuno documentarsi e verificarlo in prima persona? Certo, è più faticoso, ma almeno non si rischia di essere fuorviati o, ancor peggio, manipolati.

Siamo tutti parte di un gruppo, che si chiama umanità, e forse dobbiamo ricordarcelo più spesso.

 

 

Dott.ssa Consuelo Enzo

Psicologa Psicoterapeuta

 

 

BIBLIOGRAFIA

Darley, J.M. & Latané, B. (1968). Bystander intervention in emergencies: diffusion of responsibility. Journal of Personality and Social Psychology, 8(4), 377-383.

Bruneau, E., Kteily, N., Kteily, N., Waytz, A., & Cotterill, S. (2015). The Ascent of Man: Theoretical and Empirical Evidence for Blatant Dehumanization. Journal of Personality and Social Psychology,109 (5), 901-931

Leyens J.P., Paladino M.P., Rodriguez-Torres R., Vaes J., Demoulin S., Rodriguez-Perez A. & Gaunt R.(2000). The emotional side of prejudice: The attribution of secondary emotions to ingroups and outgroups.Personality and Social Psychology Review, 4, 2: 186-197.

Stannard D.E. (1992). American Holocaust. Columbus and the Conquest of the New World.Oxford, UK: Oxford University Press (trad. it.: Olocausto americano: la conquista del nuovo mondo. Torino: Bollati Boringhieri, 2001).
Volpato C. (2011). Deumanizzazione. Come si legittima la violenza. Bari: Laterza.

Volpato C. (2012). La negazione dell’umanità: i percorsi della deumanizzazione. Rivista Inter-nazionale di Filosofia e Psicologia, 3, 1: 96-109.

Volpato C. (2013). Psicosociologia del maschilismo. Bari: Laterza

Milgram, S. (1974), Obedience to Authority; An Experimental View. Harpercollins

Zimbardo,P. (1972).Pathology of imprisonment.Transactional Society,pp. 4-8.

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