LE EMOZIONI TRA REGOLAZIONE, MODULAZIONE E AGENCY PERSONALE

Citazione consigliata: Valentino, V. (2019). Le emozioni: regolazione, modulazione e agency personale. [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2019/06/16/emozioni-regolazione-modulazione-agency

 

Spesso nei nostri studi accogliamo pazienti che hanno una certa difficoltà a regolare le proprie emozioni. Indagando il costrutto, scopriamo che manca un aspetto che, per alcuni è imprescindibile dalla modulazione e dalla regolazione perché ne costituisce la base: l’identificazione. Basta chiedere al paziente cosa prova o cosa ha provato in una certa situazione e anche l’alessitimico novellino risponderà in modo vago e globale. A questo punto ci riesce più semplice tollerare la difficoltà di regolazione perché banalmente è molto più arduo regolare un qualcosa di poco chiaro, d’indifferenziato o vago. Jurist (2018) chiama questo tipo di esperienza “emozioni aporetiche”.

 

Quello che spesso fa soffrire è che, implicitamente alle emozioni che scappano dal nostro controllo, vi è l’immagine di sé di incapacità. In termini più tecnici, si chiama mancanza di agency e si riferisce all’impossibilità di accedere a risorse interne e personali, per poter regolare gli stati mentali in termini cognitivi, emotivi e comportamentali. Ha poca agency il paziente insonne che rumina tutta la notte, il paziente che beve alla fine di ogni giornata di lavoro così come il paziente che si eclissa di fronte al suo senso di colpa, alla vergogna, o qualsiasi altra emozione. Il risultato è una inondazione di dolore.

 

Jurist (2018) distingue il costrutto della modulazione emotiva da quello della regolazione, ponendo il focus su due aspetti distinti. La regolazione sembra essere ascrivibile agli aspetti cognitivi che predominano su quelli emotivi mentre la modulazione è un processo più complesso in cui vengono chiamati in causa prima ed integrati poi più elementi come ad esempio l’intensità, la durata e l’espressione dell’emozione stessa. La modulazione comporta unire ed armonizzare tutti gli aspetti che riguardano l’esperienza emotiva, tra cui anche la comunicazione all’altro. Ovviamente non ci può essere modulazione senza identificazione. Sembra ovvio. Eppure, sorprendentemente, uno studio di Lieberman del 2011 ha mostrato la separazione tra questi due costrutti poiché i soggetti dell’esperimento, dopo aver etichettato l’emozione che gli veniva elicitata, affermavano che non era questo processo a regolarne l’intensità nonostante fosse lampante la relazione temporale.

 

Entrando nello specifico dei meccanismi della regolazione emotiva, ritroviamo due modelli, decisamente diversi tra loro. Il process model e la mindfulness.

 

Il process model di Gross e Thompson (2007) fonda tutto il suo valore sulla ristrutturazione cognitiva. Pur individuando vari step che sono chiamati in causa in un preciso ordine temporale (selezione della situazione, modifica della situazione, distribuzione dell’attenzione, cambiamento cognitivo e modulazione della risposta) non possiamo immaginarli come processi distinti e separati nonostante costituiscano un circuito a feedback. Gli autori sottolineano che i primi 4 elementi si focalizzano sugli antecedenti mentre solo la modulazione è focalizzata sulla reazione emotiva, quindi sulle conseguenze. All’interno di questo processo, la distribuzione dell’attenzione è fondamentale perché permette di spostare volontariamente la focalizzazione da uno stimolo emotivamente saliente attraverso due strategie: distrazione e concentrazione, a seconda se decidiamo di allontanarci oppure di avvicinarci sempre più per osservare meglio (sappiamo bene che un eccesso di concentrazione porta immediatamente alla ruminazione!!). Per Gross e Thompson è la riattribuzione cognitiva che genera un vero e proprio cambiamento perché, modificando l’attribuzione all’evento, ci si prepara al passo successivo nell’ordine sequenziale che concerne proprio la modulazione della risposta dal punto di vista esperienziale, fisiologico e comportamentale e che rimanda all’espressione o alla repressione dell’emozione.

 

Il process model di Gross e Thompson affronta molti temi, e la distinzione effettuata dagli autori tra regolazione focalizzata sull’antecedente (antecedent-focused) e regolazione focalizzata sulla risposta (response-focused) è illuminante nel chiarire come le emozioni ci spingano a intraprendere azioni diverse. Esso, però, è un modello meccanicistico basato sul principio dell’omeostasi, sulla necessità a tornare allo stato di equilibrio, ma non rende giustizia alla complessità degli eventi di vita. Inoltre appare limitante nell’ottica interpersonale in quanto chiarisce ben poco il modo in cui tale processo possa essere utile per modificare la reazione emotiva a situazioni interpersonali ad alto impatto emotivo. Sebbene possa essere semplice modificare alcune variabili ambientali non possiamo dire lo stesso delle variabili intersoggettive legate all’incontro con l’atro. Per di più sappiamo bene che la sola riattribuzione cognitiva non è sufficiente a modificare le emozioni (Webb, Miles e Sheeran, 2012).

 

È intuitivo dunque che il process model non prende in considerazione l’agency umana in tutta la sua complessità, non considera fattori importanti come gli stili di personalità, la tendenza a strategie di coping cognitive piuttosto che comportamentali, ma si limita a descrivere una sequenza di azioni dirette allo stato di omeostasi iniziale.

 

Dall’altro versante ritroviamo la mindfulness che si basa sul concetto di “ripercezione” (repercieving) di Shapiro del 2006 che invita ad osservare con curiosità gli eventi invece di immergerci completamente in essi. Essa si esplica grazie all’intenzione all’esplorazione e non necessariamente all’autoregolazione, l’attenzione diretta verso la propria esperienza interna ed esterna, momento per momento, e all’atteggiamento non giudicante né interpretativo, lasciando scorrere le cose per quelle che sono. A differenza del modello precedente, in questo caso, l’individuo si percepisce molto più agentivo: la modulazione emotiva è legata alla riflessione strettamente connessa all’esperienza soggettiva interna.

 

La fondamentale differenza tra i due modelli è che solo nel secondo sono contemplate capacità metacognitive che favoriscono l’osservazione decentrata dell’emozione piuttosto che l’elaborazione del contenuto emotivo attraverso l’elaborazione cognitiva. Quando Shapiro parla di ripercezione, infatti, indica come obiettivo finale il tollerare l’esperienza emotiva senza necessariamente cambiarla ed in questo atteggiamento attivo l’individuo scopre tutta la sua capacità di regolazione e modulazione.

 

Intervenire cognitivamente sull’attribuzione agli eventi sembra quindi essere molto più dispendioso e meno immediato del coltivare un atteggiamento che ci permette ci accettare le emozioni senza agire sulla base di esse (Chambers, Gullone, Allen, 2009).

 

Dott.ssa Virginia Valentino

Psicologa Psicoterapeuta

 

 

BIBLIOGRAFIA

Chambers, R., Gullone, E., Allen, N.B. (2009). Mindful emotion regulation: An integrative review. Clinical Psychology Review, 29 (6), pp. 560-572.

Gross, J.J., Thompson, R.A. (2007). Emotion regulation: Conceptual foundations. In Gross, J.J. (a cura di), “Handbook of Emotion Regulation” (pp. 3-24). Guilford Press, New York.

Jurist, E. L. (2018). Tenere a mente le emozioni. La mentalizzazione in psicoterapia. Raffaello Cortina Editore.

Lieberman, M.D., Inagaki, T.K., Tabibnia, G., Crockett, M.J. (2011). Subjective responses to emotional stimuli during labeling, reappraisal, and distraction. Emotion, 11 (3), pp. 468-480

Shapiro, S.L., Carlson, L.E., Astin, J.A., Freedman, B. (2006). Mechanisms of mindfulness. Journal of Clinical Psychology, 62 (3), pp. 373-386.

Webb, T.L., Miles, E., Sheeran, P. (2012). Dealing with feeling: A meta-analysis of the effectiveness of strategies derived from the process model of emotion regulation. Psychological Bulletin, 138 (4), pp. 775-808.

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