EMOZIONI? NO GRAZIE!

Citazione Consigliata: Di Natale, S. (2019). “Emozioni? No grazie!” [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2019/11/07/emozioni-no-grazie

 

Ma non provare niente ,

per non rischiare di provare qualcosa…

che spreco!”

 (dal Film: Chiamami col tuo nome)

 

 

Essere emotivi significa non sapersi controllare!”, “Alcune emozioni sono davvero stupide”! E ancora “i sentimenti sono cattivi e distruttivi !” Queste sono alcune delle opinioni più comuni che molte persone condividono nei confronti delle proprie e altrui emozioni, opinioni che vengono generalmente identificate con il termine miti sulle emozioni (Linehan, 2011). Le emozioni ci comunicano qualcosa sui nostri bisogni, le nostre frustrazioni e i nostri diritti; ci motivano a realizzare dei cambiamenti, a superare situazioni difficili e a capire se siamo soddisfatti (Leahy, Tirch & Napolitano, 2013).

Eppure molte persone tentano di “soffocarle” perché ritenute incomprensibili, travolgenti, incessanti e talvolta anche imbarazzanti. C’è chi prova ed evitarle, a distrarsi, altri a sopprimerle e/o a controllarle ricorrendo a stili di pensiero ruminativi o rimuginativi, influenzati dal credere che “Forse se ripenso sempre al mio errore, mi sentirò meno in colpa” oppure “Se prevedo tutti i possibili imprevisti che possono capitare mi sentirò sicuramente meno ansioso”.

Secondo il modello degli schemi emozionali (EST; Emotional Schema Therapy) di Robert Leahy (2013; 2016), le persone interpretano e gestiscono in modi diversi le loro emozioni, inferendo, il più delle volte, significati negativi e prevedendone effetti catastrofici in grado di coinvolgere sé e gli altri.

Chi non ha mai tentato di evitare di provare una determinata emozione, come la tristezza o l’ansia, ricorrendo, ad esempio, a strategie non proprio funzionali come le abbuffate, l’abuso di alcool e/o l’assunzione di determinate sostanze? Alcuni possono anche immergersi nel lavoro o in un allenamento fisico estenuante pur di non provare nulla.

 

Ma perché facciamo tutto questo?

 

Le credenze che abbiamo nei confronti delle nostre emozioni giocano un ruolo chiave nel determinare l’atteggiamento assunto rispetto ad esse. È per questo, dunque, che risulta fondamentale chiarire alcuni punti sulle caratteristiche universalmente riconosciute delle emozioni (Leahy, Tirch & Napolitano, 2013; Leahy, 2016).

Per quanto sia comunemente diffusa l’idea che le emozioni, se non controllate, durino all’infinito, esse seguono l’andamento di una curva a campana: emergono ad una certa intensità, raggiungono un picco per poi decrescere fino a scomparire. Le emozioni, anche quelle più dolorose e difficili, infatti, sono fenomeni transitori.

A volte, però, pensiamo che esse abbiano il potere di sovrastarci, di danneggiarci fino a farci crollare. Così iniziamo una vera e propria lotta nei loro confronti, sicuri della loro “inutilità”, incomprensibili alla nostra razionalità. Inaccettanti, le controlliamo, le evitiamo, le ignoriamo. Eppure le emozioni tornano sempre a ripresentarsi, il più delle volte con un’intensità ancora più elevata. Ci ritroviamo così, a stare ancora più male e ad essere noi stessi gli artefici di quella sofferenza aggiuntiva.

È l’esempio di chi, credendo che esprimere la propria rabbia significhi essere delle “cattive persone”, si sforza in sua presenza di ignorarla, ricorrendo, in contesti relazionali, a falsi consensi e a sorrisi di circostanza. Alla lunga, però, quello stesso tentativo di soppressione, porterà la persona a provare ancora più risentimento (e a una rabbia ancora più elevata), il quale inevitabilmente condizionerà (fino a incrinare) i propri rapporti di amicizia e non.

Poco spesso riflettiamo sull’importanza delle nostre emozioni, forse perché, appunto, siamo troppo impegnati a difenderci da esse. Eppure, tutti i giorni siamo chiamati ad operare delle scelte, a più livelli e in più contesti. Per quanto i valori della nostra vita siano ben chiari, come per esempio “essere un buon professionista o un buon padre”, e l’affidarci al consiglio e alla guida delle persone che ci stanno vicino siano entrambi importanti nel direzionare i nostri comportamenti e a influenzare le nostre scelte di vita, essi non sono in grado di sostituire la funzione direzionale e motivatrice delle nostre emozioni (Dimaggio & Semerari, 2003).

Ogni emozione ha dunque una funzione ben specifica, un messaggio che necessita di essere comunicato e ricevuto. La rabbia, per esempio, tenta di farci notare come un qualcosa o un qualcuno ha leso un nostro diritto o ha invalidato un nostro bisogno. La tristezza, invece, è portatrice di una mancanza che necessita di essere ascoltata, elaborata. La paura, di contro, ci difende e allerta rispetto a una situazione che potrebbe presentarsi come potenzialmente pericolosa.

Credere che le nostre emozioni siano “incomprensibili” e “senza senso” ci priva anche della possibilità di comunicare ciò che sentiamo a chi ci sta vicino. Non possiamo comunicare se prima si ha ben chiaro cosa si vuole comunicare!

 

 

Cosa fare dunque?

 

Come per la maggior parte delle cose che ci risultano incomprensibili e/o spaventose, è necessario, anche in questo caso, fare esperienza del nostro mondo emotivo in un modo completamente nuovo.

Il primo passo per fare ciò, potrebbe essere quello di iniziare a porre attenzione e dunque osservare proprio ciò che ci accade internamente, ponendoci proprio la seguente domanda: “Cosa sto provando in questo momento?”.

Riconoscere ciò che sentiamo e dare un nome alle nostre emozioni è ciò che può aiutarci a dare senso a ciò che sperimentiamo rispetto agli eventi della nostra vita. Significa anche imparare a conoscerle meglio e a non giudicarle automaticamente come un qualcosa di negativo o pericoloso.

Stare con la tristezza, per esempio, potrà aiutarmi a sperimentare che è possibile non esserne “sovrastati”. Imparerò che posso prendermene cura in un modo più salutare rispetto a tutto ciò che ha lo scopo di eliminarla: chiamare un’amica e confidarmi con lei sarà sicuramente più funzionale del bere fino a stordirmi.

 

Le emozioni sono degli alleati potenti, strumenti che abbiamo a nostra disposizione per muoverci nel mondo e comprendere meglio noi stessi e gli altri.

Che spreco esserne privi!

 

 

Dott.ssa Sefora Di Natale

Psicologa Psicoterapeuta

Insegnante di Protocolli Basati sulla Mindfulness

Iscritta all’Ordine degli Psicologia della Toscana, n°7004

 

 

 

Bibliografia

Dimaggio, G., Semerari, A. (2003). I disturbi di personalità. Modelli e trattamento. Lecce: Editori Laterza.

Leahy, R.L. (2016). Emotional Schema Therapy. Credenze sulle emozioni e strategie di regolazione emozionale in terapia metacognitiva. Firenzei: Eclipsi.

Leahy, R.L., Tirch, D., & Napolitano, L.A. (2013). La regolazione delle emozioni in psicoterapia. Guida pratica per il professionista. Firenze: Eclipsi.

Linehan M.M., (2011). Trattamento cognitivo comportamentale del disturbo borderline. Il modello dialettico. Milano: Raffaello Cortina editore.

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