CHE COS’È

 

 

LA DIAGNOSI

 

La caratteristica principale di questo disturbo è l’ansia eccessiva manifestata dal bambino quando si deve separare da un componente della famiglia a cui è profondamente attaccato, di solito la figura materna (Kendall e Di Pietro, 1995).

Questo tipo d’ansia è ritenuta una normale tappa dello sviluppo quando si presenta tra gli 8 mesi e i due anni di età, mentre si parla di sindrome o di disturbo quando l’ansia da separazione risulta essere sproporzionata e inadeguata sia per le circostanze in cui si presenta sia per la fase di sviluppo del bambino (può presentarsi in fasi successive dello sviluppo: in età scolare – dal primo giorno di scuola o successivamente – e in età adolescenziale). In questo caso il disagio vissuto dal bambino o dall’adolescente impatta sul suo funzionamento nelle varie aree di vita.

 

Secondo l’ultima edizione del “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (DSM-5; APA, 2013) il Disturbo d’Ansia da Separazione è caratterizzato da uno stato di paura o di ansia eccessivo e inappropriato che si manifesta all’allontanamento (o alla previsione della separazione) dalla propria figura di attaccamento. Inoltre, sempre secondo il DSM-5, l’ansia è persistente e può essere esperita con: il rifiuto di allontanarsi da casa (per esempio il bambino o il ragazzo può manifestare il rifiuto di andare a scuola o ad altre attività extra-scolastiche) e la difficoltà nell’affrontare contesti di vita in assenza della propria figura di attaccamento. La paura o ansia che il bambino prova può provocare incubi notturni e/o la comparsa di sintomi somatici come per esempio emicranie, mal di stomaco, nausee e vomito. L’ansia è legata al pensiero che possa accadere qualcosa di brutto ai propri genitori o che possano andarsene e non fare più ritorno.

Infine secondo il DSM-5, per fare diagnosi di disturbo d’ansia da separazione, la paura, l’ansia o l’evitamento devono essere persistenti e presenti da almeno 4 settimane nei bambini e adolescenti, sei mesi o più invece negli adulti.

 

 

COME SI PRESENTA

 

 

Il bambino vive la possibilità di separazione dal proprio genitore con un aumento d’ansia che cerca di gestire con comportamenti di controllo al fine di ripristinare la vicinanza della propria figura di attaccamento. Vi sono altri indici cognitivi e comportamentali riscontrabili nel Disturbo d’Ansia da Separazione (Kendall e Di Pietro, 1995).

 

A livello comportamentale l’ansia può essere espressa nei seguenti modi:

  • il rifiuto di essere lasciato solo (per esempio con amici, parenti e babysitter) o di affrontare situazioni senza il proprio genitore (la scuola o anche altre attività extra-scolastiche);
  • la costante ricerca di prossimità fisica del genitore;
  • mostrare panico, pianto e collera al momento della separazione;
  • a scuola vi può essere la richiesta continua di contattare la mamma o il papà;
  • la continua preoccupazione sullo stato di salute dei propri genitori;
  • l’interruzione continua del gioco o il finto interesse verso l’ambiente per controllare se il genitore è presente. Lo stato d’ansia comporta dunque una limitata possibilità di esplorare l’ambiente circostante ostacolando dunque il bisogno del bambino di sperimentare e sviluppare le proprie risorse.

 

A livello cognitivo il bambino che soffre di Disturbo d’Ansia da Separazione può pensare che i genitori possano in qualche modo sparire e non tornare più, immaginandosi che possa capitar loro qualcosa di dannoso, come per esempio un improvviso malessere, una grave malattia, un incidente stradale, essere rapiti o restare vittime di qualche catastrofe.

 

Il bambino somatizza il proprio vissuto d’ansia, a cui non sempre riesce dare voce, lamentando frequenti mal di pancia, nausea e vomito, mal di testa, tremori e sudorazione.

Possono essere riportati anche incubi notturni sempre riguardanti la separazione.

 

Si tratta infine di bambini richiedenti e bisognosi di una costante attenzione. Di risposta i genitori possono sentirsi stanchi, impotenti e confusi. Il genitore infatti si racconta spesso come preoccupato ed “appesantito” da una situazione a cui non sa dare una spiegazione chiara e certa e che possa orientarlo ad una soluzione che aiuti il figlio a stare meglio. I pensieri che emergono ai genitori possono essere vari come per esempio: “sarà successo qualcosa a scuola, magari con un compagno o un’insegnante”; “lo fa apposta perché non ha voglia di andare a scuola”; “avrà sentito qualcosa che l’ha spaventato” e ancora “costringo mio figlio ad andare a scuola o lo proteggo tenendolo a casa?”. Ogni pensiero spinge il genitore ad indagare le cause e a temere di essere troppo accondiscendente con il figlio o, al contrario, di essere troppo duro con lui facendogli del “male”.

 

 

IPOTESI EZIOLOGICHE

 

 

L’esordio può essere legato a qualche cambiamento importante nell’assetto familiare – come per esempio un trasloco, un cambiamento lavorativo dei genitori, un lutto o una malattia di una persona vicina – o un cambiamento di scuola.

 

 

COME SI CURA

 

 

Sulla base di evidenze scientifiche, il trattamento d’elezione per tale problematica è la terapia cognitivo-comportamentale. Il trattamento prevede diverse fasi in cui la partecipazione dei genitori è di fondamentale importanza ai fini della sua efficacia.

Un primo passo è comprendere e definire il problema attraverso una raccolta di informazioni che ci possano dare una “mappa” in cui collocare il malessere del bambino. Ci permette cioè di comprendere con maggiore chiarezza il punto di vista del bambino: “cos’è accaduto di importante per lui che l’ha portato a sviluppare l’ansia da separazione?”. Questo primo passo è centrale per la terapia in quanto permette al genitore di sintonizzarsi con il vissuto emotivo e i pensieri del proprio bambino e permette allo psicoterapeuta di impostare un adeguato percorso terapeutico. Una volta accolto il malessere e i bisogni del bambino allora potremo accompagnarlo ad una graduale acquisizione della propria autonomia.

Nel trattamento è importante tenere in considerazione:

– il piano relazionale (genitori-bambino) ovvero comprendere da una parte la funzione del sintomo all’interno della dinamica familiare e dall’altra supportare anche i genitori nella gestione dei propri vissuti emotivi;

– il piano sintomatologico attraverso interventi volti ad aiutare il bambino a riconoscere i sintomi fisici, i pensieri e le immagini che sono legati allo stato d’ansia. Su questo piano d’intervento vi sono evidenze scientifiche sull’efficacia dell’utilizzo di tecniche di regolazione neurofisiologica (rilassamento muscolare e tecniche mindfulness), e di procedure di esposizione.

 

 

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TESTI A CURA DI:

Dott.ssa Elisa Franchi 
Psicologo Psicoterapeuta
(Iscrizione all’Ordine degli Psicologi della Toscana n° 6720)

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Approfondimenti

*Coming soon*

 

 

Bibliografia

American Psychiatric Association (2013). DSM-5. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing.

Kendall, P.C. (2012). Child and Adolescent Therapy, Cognitive-Behavioral Procedures. Fourth Edition, New York: The Guilford Press

Kendall, P. & Di Pietro, M. (1995). Terapia scolastica dell’ansia. Guida per psicologi e insegnanti, Trento: Erickson.

Lambruschi, F. (Ed.). (2004). Psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva. Procedure di assessment e strategie psicoterapeutiche, Torino: Bollati Boringhieri.