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CHE COSA SONO

 

 

La diagnosi

 

 

In accordo con il DSM-5 (APA, 2013), il manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali, definiamo la fobia specifica come una paura, spropositata rispetto alle comuni paure, che si manifesta in modo marcato e persistente in presenza di un oggetto o in relazione a specifiche situazioni (Cole & Wilkins, 2013; Le, Cole & Wilkins, 2015).

 

La persona è consapevole della sproporzione e dell’irragionevolezza della propria paura, che sembra però essere percepita come pericolosa, intollerabile e incontrollabile.

Le uniche soluzioni che sembrano aiutare, sul momento, la persona a fronteggiare il problema sono l’evitamento (allontanarsi fisicamente dall’oggetto fobico) o tentare sopportare con estrema difficoltà la presenza dello stimolo che incute paura.

Entrambe le soluzioni, però, oltre a mantenere il disturbo e un’indiscussa sofferenza, possono creare notevoli disagi in grado di compromettere le normali attività quotidiane, come per esempio il lavoro, e/o le relazioni significative   (Baldini, 2004; APA, 2013).

 

Esistono diverse tipologie di fobie, differenziate in base al tipo di stimolo fobico:

 

  • Animale (ne sono un esempio i cani, i ragni e/o gli insetti);
  • Ambiente naturale (come le altezze, i temporali o l’acqua);
  • Sangue-iniezioni-ferite (comuni sono le paure rispetto agli aghi o relative ad alcune procedure mediche invasive);
  • Situazionale (ad esempio gli aerei, gli ascensori o i luoghi chiusi);
  • Altro (tutti gli altri stimoli in grado di generare fobie).

 

E’ bene specificare che una persona può manifestare più di una fobia, relativa a stimoli della stessa tipologia e non. Per esempio, è possibile temere la presenza dei cani e dei ragni, come allo stesso tempo avere paura di volare in aereo.

 

Negli ultimi anni, l’interesse dei professionisti e dei ricercatori si è concentrato soprattutto sullo studio di alcune particolari fobie. Ne citiamo solo le più diffuse:

 

  • Emetofobia: le persone che soffrono di questa fobia temono, in modo eccessivo e ingiustificato, di poter vomitare e, di conseguenza, la vergogna e il disagio che potrebbero manifestare se questa possibilità si concretizzasse pubblicamente. Tale disturbo è spesso associato alla fobia sociale, alle problematiche panicose e all’agorafobia (Leite et al., 2011);

 

  • Anginofobia:il timore è quello di poter morire soffocati da qualcosa che può rimanere di traverso se ingerito, come per esempio cibo, pillole, liquidi o, in situazioni più estreme, anche dalla propria stessa saliva. Anche in questo caso, chi ne soffre tenta di selezionare il cibo, in qualità e quantità, da ingerire, evitandone altri al fine di impedire che si verifichi lo stato temuto (Tolomeo et al., 2017);

 

  • Odontofobia: comunemente riconosciuta come la paura manifestata verso tutto ciò che è associato al dentista o ad un centro odontoiatrico (Savron, 2014);

 

  • Nosofobia:riconosciuta anche come fobia di malattia, in cui ciò che si teme, in modo irrealistico e spropositato, è di contrarre o di entrare in contatto con malattie specifiche. Tale possibilità induce il soggetto a evitare tutte quelle situazioni che possono esporlo a un possibile contagio (Savron, 2014);

 

  • Amaxofobia (o paura di guidare un mezzo): è una fobia che insorge dopo un evento traumatico come quello di un incidente moto o automobilistico, anche se, sembra essere diagnosticata anche in coloro che non sono mai stati coinvolti in simili incidenti, ma che temono possa loro accadere (Taylor, 2000).

 

 

Il funzionamento del meccanismo fobico

 

 

E’ la presenza dello stimolo fobico, dunque, a generare nella persona un’immediata reazione di allarme che, in alcuni casi è talmente intensa da assumere la forma dell’attacco di panico (APA, 2013; Baldini, 2004).

 

Il ciclo della reattività allo stress spiega come il coinvolgimento delle strutture dell’ipotalamo, dell’ipofisi e delle ghiandole surrenali, è in grado di generare, oltre a intense emozioni come ansia, paura, terrore, anche le seguenti risposte fisiche (Kabat-Zinn, 1990; Baldini, 2004, Carlson, 2017):

 

  • Difficoltà respiratorie: la tensione che coinvolge i muscoli del corpo rendono difficile l’espansione del torace, influenzando notevolmente il ritmo del respiro;

 

  • Aumento del battito cardiaco e della pressione sanguigna: per prepararsi all’azione, il cuore incrementa la sua attività per aumentare a sua volta il flusso del sangue deputato a far convogliare in tutto il corpo ossigeno e zucchero;

 

  • Formicolii, vampate di calore, sensazioni di torpore: aumentando la pressione sanguigna, a livello cutaneo è possibile percepire sensazioni di calore e formicolii generalizzati, derivati dall’attivazione della reazione dall’allarme. Il corpo reagisce a questo tentando di raffreddarsi con l’emissione del sudore;

 

  • Tensione muscolare: in una fase di allarme i muscoli si irrigidiscono per facilitare la mobilitazione all’azione;

 

  • Vertigini, confusione e offuscamento: è possibile che l’aumento della pressione data dall’incremento dei battiti cardiaci provochi una sensazione di perdita dell’equilibrio, nonché un momentaneo offuscamento provocato dalla messa a fuoco dell’occhio, la cui pupilla, nel mentre, si è dilatata per focalizzare meglio la minaccia;

 

  • Disturbi gastro-intestinali, nausea: non essendo indispensabili per far fronte alla minaccia rappresentata dallo stimolo fobico, tutti i processi convolti nella digestione si arrestano, per poter indirizzare quelle specifiche energie verso altri organi coinvolti.

 

Gli effetti della paura, dunque, coinvolgono il corpo che, di fronte alla presenza di una minaccia, si prepara a reagire con azioni di attacco o difesa (fight or flight reaction).

 

E’ comune osservare come di fronte all’oggetto fobico per esempio un cane, la persona è spinta a ricercare una situazione di sicurezza, il più delle volte allontanandosi velocemente dalla vista dell’animale, alleviando così quasi subito i sintomi prima esposti. L’evitamento, dunque rappresenta nell’immediato una strategia privilegiata per fronteggiare la propria paura, anche se, in una prospettiva di lungo periodo mantiene il problema (nonché la paura) e la convinzione di pericolosità associata alla presenza dell’oggetto fobico.

 

E’ possibile però di fronte ad una minaccia mettere in atto una reazione opposta, soprattutto a livello fisico. Alcune persone, infatti, sperimentano una riduzione del ritmo cardiaco e un abbassamento della pressione sanguigna, causa di possibili svenimenti e perdite di coscienza. Gli esempi ci vengono forniti soprattutto da coloro che riportano paure fobiche rispetto alla presenza di sangue o alla possibilità di dover fare un prelievo (Baldini, 2004; Martin & Pear, 2000, Savron, 2004).

 

 

 

I dati di prevalenza

 

 

Dalle stime riportate dal DSM-5 (APA, 2013) emerge come i dati relativi alla presenza della fobia specifica nella popolazione statunitense ed europea siano simili. Ci riferiamo a una percentuale compresa tra il 7 e il 9%, che si abbassa al 2-4% in popolazioni di origini asiatiche, africane e latinoamericane.

Ad esserne colpite, in una percentuale doppia rispetto agli uomini, sono le donne.

Si riscontra che gli anziani invece soffrono meno questo disturbo, diversamente dai bambini, i quali sembrano essere più sensibili e vulnerabili alle varie forme di questo disturbo.

 

 

Le ipotesi eziologiche 

 

 

Numerose sono le teorie elaborate nel corso degli anni che hanno tentato di spiegare le cause implicate nell’esordio delle fobie specifiche, da quelle biologiche ed evoluzionistiche, a quelle psicodinamiche, cognitive e cognitivo-comportamentali (Merckelbach, 1996; Savron, 2004).

 

Tra le ipotesi più accreditate, ne riportiamo alcune:

 

  • Genetiche: la persona fobica erediterebbe una particolare vulnerabilità alla risposta ansiosa o a quella della paura che, interagendo con i fattori ambientali, sarebbe in grado di sviluppare una vera e propria fobia;

 

  • Evoluzionistiche:mettono in luce l’aspetto protettivo di ansia e paura per l’uomo di fronte a potenziali minacce per la sua stessa sopravvivenza, come per esempio i serpenti. Le risposte di difesa o fuga sarebbero dunque l’espressione di una predisposizione innata per l’uomo a reagire a ciò che potrebbe minacciare la sua stessa vita e la sua possibilità di riprodursi;

 

  • Psicoanalitiche: le fobie sarebbero espressione di una difesa che ritroviamo nell’uomo verso l’ansia prodotta dalle proprie pulsioni inconsce. Tali pulsioni verrebbero traslate simbolicamente sull’oggetto o sulle situazioni fobiche, verso le quali la persona attuerebbe lo stesso evitamento che mette in atto verso i propri conflitti rimossi. La fobia dunque proteggerebbe la persona dall’affrontare il suo problema reale;

 

  • Comportamentali: le fobie sarebbero il risultato di reazioni apprese, nelle quali ad uno stimolo innocuo (l’oggetto della paura) si assocerebbe, tramite un fenomeno di condizionamento, una risposta incondizionata (ansia o paura). Dopo diverse esposizioni, lo stimolo neutro diventa condizionato e la sua presenza è in grado di generare una risposta condizionata: la persona alla sola vista dell’oggetto fobico sperimenta ansia e/o paura che verrebbero ridimensionate con l’allontanamento dello stimolo condizionato. Osservare il comportamento fobico di un’altra persona, inoltre, favorirebbe a sua volta l’apprendimento di reazioni fobiche. Osservare la paura di un genitore verso uno stimolo, dunque, o notare in alcuni filmati reazioni fobiche verso stimoli ritenuti minacciosi, potrebbe influenzare la nascita e lo sviluppo delle fobie;

 

  • Cognitive: sottolineano come la valutazione negativa e minacciosa attribuita a determinati stimoli, influenzata soprattutto dalle esperienze pregresse (e anche traumatiche) della persona, è in grado di attivare in essa risposte ansiogene e di paura verso stimoli che altre persone ritengono non pericolosi. Riportare eventi traumatici, come essere stati attaccati da un cane o essere messi in allerta di fronte alla pericolosità di certi stimoli, sono da considerarsi variabili influenti nel determinare la valutazione negativa degli stimoli.

 

 

Diagnosi differenziale

 

 

La diagnosi differenziale della fobia specifica permette di distinguere quest’ultima da altri disturbi, come per esempio il Disturbo da Ansia Generalizzata, in cui l’ansia percepita assume la forma di una preoccupazione costante, e non circoscritta a un oggetto specifico, coinvolgendo ed influenzando negativamente più domini della vita della persona, da quella famigliare a quello lavorativo/scolastico, nonché le relazioni interpersonali.

 

Distinguiamo la fobia specifica dal Disturbo Ossessivo-compulsivo, in cui l’ansia si attiva nel soggetto in presenza di specifici contenuti mentali (ossessioni) e che, di conseguenza, inducono la persona ad evitare oggetti o situazioni che potrebbero scatenarle. Inoltre, al fine di neutralizzare l’ansia o il malessere emotivo percepito, la persona può mettere in atto diversi comportamenti ritualistici, come controlli, lavaggi, conteggi ecc.

 

Il disturbo da stress post-traumatico e il disturbo acuto da stress si differenziano dalla fobia specifica in quanto l’ansia in tali disturbi è associata alla presenza di un evento traumatico che ricorre assumendo la forma di pensieri, immagini, incubi, flashback o episodi dissociativi che si ricollegano all’evento traumatico che la persona tende ad evitare.

 

Nell’Attacco di Panico l’elemento centrale è caratterizzato dalla presenza di una specifica sintomatologia fisica che la persona teme anche in relazione alle sue potenziali conseguenze. Ne deriva un evitamento simil-fobico di varie situazioni che potrebbero riattivare tale sintomatologia ansiosa.

 

È necessario porre attenzione anche alla diagnosi differenziale tra fobia specifica e Fobia Sociale, che possono essere distinte in base oggetto fobico. Nella fobia sociale, che porta il soggetto a preferire situazioni solitarie, l’ansia si manifesta solo di fronte alle possibili critiche o giudizi negativi altrui.

 

Ed ancora, mentre nell’Ipocondria la persona, convinta di avere una malattia, è sempre alla ricerca di elementi che disconfermino la sua paura, nonostante gli accertamenti e le rassicurazioni mediche, il nosofobico, spaventato dalla possibilità di avere una malattia specifica, evita tutte quelle situazioni che potrebbero confermare il suo timore (Wells, 2003; Savron, 2004, Stein, 2004, APA, 2013).

 

 

 

CHE COSA SI PUÒ FARE

 

 

Il trattamento

 

 

Le fobie specifiche non trattate raramente vanno in remissione.

In accordo con i risultati emersi dalla recente ricerca scientifica e dagli studi di settore, il trattamento previsto per la cura della fobia specifica prevede il ricorso alla psicoterapia e/o alla farmacologia.

 

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico, il ricorso a quest’ultimo non rappresenta la soluzione in grado di permettere una remissione completa della sintomatologia associata al problema. Benzodiazepine (i comuni ansiolitici) e antidepressivi, infatti, aiutano la persona a gestire, sul momento, i sintomi di un’ansia percepita come pericolosa e incontrollabile, ma non intaccano minimamente né la causa né i processi che mantengono il disturbo.

Inoltre, si fa presente come all’uso delle benzodiazepine sia associato il rischio di una possibile dipendenza, che diventa con il passare del tempo, all’interno del quadro generale del problema, un altro fattore di mantenimento oltre che un ostacolo alla risoluzione stessa del disturbo. (Bossini et al., 2013; Savron, 2014).

 

Per quanto riguarda, invece, il ricorso alla psicoterapia, la terapia cognitivo-comportamentalerisulta essere il trattamento d’elezione per la cura della fobia specifica.

Le tecniche più efficaci sono sicuramente ricollegabili agli approcci basati sull’esposizione all’oggetto fobico(Martin & Pear, 2000; Wolitzky-Taylor et al., 2008), in cui si aiuta la persona ad avvicinarsi in modo graduale e concordato allo stimolo fonte di paura, con l’obiettivo finale di permettere un contatto diretto tra i due in assenza di una risposta emotiva ansiogena. Si parla di gradualità e di concordabilità in quanto il clinico e il paziente creano insieme una sorta di gerarchia espositiva, una serie di situazioni che generano nella persona disagio emotivo crescente. Grazie al principio dell’abituazione, la persona viene aiutata a tollerare, accogliere ed accettare i sintomi ansiosi che, esposizione dopo esposizione, tendono a essere meno frequenti e invalidanti. Il paziente a fine trattamento, dunque, sarà in grado di entrare in contatto con l’oggetto considerato inizialmente fobico in assenza di ansia o paura.

E’ auspicabile, in questi casi, condurre un intervento parallelo di ristrutturazione cognitiva diretto a modificare le credenze di pericolosità sia dell’oggetto fobico, sia delle proprie emozioni, ritenute spesso incontrollabili, intollerabili e immodificabili, idee e convinzioni che mantengono il funzionamento del processo fobico.

 

Riassumendo, si elencano qui di seguito i possibili interventi utilizzati in ambito cognitivo-comportamentale per il trattamento delle fobie semplici:

 

  • Esposizione in vivo
  • Esposizione in immaginazione
  • Desensibilizzazione sistematica
  • Esposizione con ricorso alla realtà virtuale
  • EMDR
  • Tecniche di rilassamento muscolare
  • Interventi cognitivi

 

 

 

Dott.ssa Sefora Di Natale

Psicologa Psicoterapeuta

Insegnante di Protocolli Basati sulla Mindfulness

Referente del Gruppo Tages Mind

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

American Psychiatric Association. (2013).The diagnostic and statistical manual of mental disorders: (DSM-V). Arlington, VA: Author.

Baldini, F. (2004). Homework: un’antologia di prescrizioni terapeutiche. Milano: The McGraw-Hill.

Bossini, L., Borghini, E., & Fagiolini, A. (2013). Utilizzi clinici delle benzodiazepine. Focus on: Benzodiazepine e disturbi d’ansia.  Journal of Psychopathology ;19:272-286

Carlson, L., & Speca, M. (2017). Affrontare il cancro con la mindfulness. Il programma MBCR. Un programma sviluppato per far fronte alle terapie e ritrovare il senso della propria vita. Roma: Fioriti Editore.

Cole, G. G., & Wilkins, A. J. (2013). Fear of holes. Psychological Science

Le, A. T. D., Cole, G. G., & Wilkins, A. J. (2015). Assessment of trypophobia and an analysis of its visual precipitation. The Quarterly Journal of Experimental Psychology, 1–19.

Leite, C. E. P., Vicentini, H. C., Neves, J. D. S.; & Torres, A. R. (2011). Emetophobia: a critical review about an undestudies disorder.Jornal Brasileiro de Psiquiatria, 60(2).

Kabat-Zinn, J. (1990) Full catastrophe living: Using the wisdom of your body and mind to face stress, pain and illness. Dell, New York. Trad. it (2002). Vivere momento per momento.Corbaccio, Milano.

Martin, G., Pear, J. (2000). Strategie e tecniche per il cambiamento. La via comportamentale. Milano: McGraw-Hill.

Merckelbach, H., de Jong, P., Muris, P., van de Hout, M. A. (1996). The etiology of specific phobias: a review. Clinical Psychology Review, 16, 337-361.

Savron, G. (2004). Le fobie. Caleidoscopio Italiano,174.

Stein, D. J. (2004). I disturbi d’ansia. Masson.

Taylor, J. E., Deane, F. P., Podd, J. (2000). Determining the focus of drivingfears. Journal of Anxiety Disorders, 14, 453-470.

Tolomeo, S., Vincelli, F., & Capoderose, G. (2017). Anginofobia: presentazione di un caso clinico secondo l’applicazione del trattamento cognitivo-comportamentale. Psicoterapia Cognitiva e comportamentale, 23(2), 205-221.

Wells, A. (2003). Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia. Milano: McGraw-Hill.

Wolitzky-Taylor, K. B., Horowitz, J. D., Powers, M. B. & Telch, J. (2008). Psychological approaches in the treatment of specific phobias: A meta-analysis. Clinical Psychology Review, 28, 1027-1037.