CHE COS’È

 

 

LA DIAGNOSI

 

Il mutismo selettivo è un disturbo d’ansia dell’infanzia caratterizzato da una costante incapacità del bambino di parlare in circostanze “selezionate”, in genere ambienti extra-familiari, come risposta ad un ambiente vissuto come minaccioso (Capozzi et al., 2012). Il silenzio è una risposta ad uno stato di attivazione emotiva di tipo ansioso che il bambino non riesce a gestire diversamente.

Il mutismo selettivo esordisce, in genere, precocemente, nella prima infanzia (3 o 4 anni di età) (Kristensen, 2000; Cunningham et al., 2004; Garcia et al., 2004). Può arrivare alla richiesta di un intervento tardivo tra i 6 e gli 8 anni (Black e Uhde, 1992; Bergman e al., 2002; Vecchio e Kearney, 2005, 2006; Steinhausen et al. 2006; Sloan, 2007) e in casi più rari presentarsi in età adolescenziale.

Questo disturbo d’ansia viene generalmente segnalato dai 5 anni in poi, dall’inserimento del bambino in un contesto scolastico che richiede una sua partecipazione attiva e dove quindi emerge particolarmente questo problema. Per varie ragioni non è semplice riconoscere i sintomi del mutismo selettivo: in primo luogo perché si tratta di un disturbo raro di cui non vi è molta informazione; in secondo luogo il bambino a casa e con persone conosciute si sente libero di comunicare per cui i genitori possono non accorgersi subito della problematica; infine l’atteggiamento riservato, il silenzio o il bisbigliare sono spesso considerati segni di timidezza passeggeri.

Secondo l’ultima edizione del “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (DSM-5; APA, 2013) si può fare diagnosi di mutismo selettivo quando il bambino mostra una costante incapacità di parlare in specifiche situazioni, pur mostrando in altre, dove si sente libero di comunicare, di aver sviluppato competenze linguistiche. Si tratta dunque di una condizione non legata a qualche disfunzione organica o ad incapacità correlata allo sviluppo.

Sempre secondo il DSM-5 è possibile fare diagnosi di mutismo selettivo quando la condizione si presenta per almeno un mese (non limitato al primo mese di scuola).

Nel suo mutismo e nel suo parlare a bassa voce il bambino ci comunica una sofferenza emotiva che coinvolge la qualità dei processi interpersonali in contesti per lui significativi.

 

 

COME SI PRESENTA

 

 

Area comportamentale.

I bambini che sviluppano mutismo selettivo mostrano apprensione per situazioni e persone nuove e agiscono comportamenti di evitamento di situazioni non familiari mostrando di preferire attività socialmente ritirate (Bergam et al. 2002; Kristensen e Torgersen 2001). Sono bambini che si mostrano estremamente timidi e imbarazzati in contesti sociali che richiedono una loro esposizione.

Per affrontare e “sopravvivere” a tali situazioni vissute come problematiche il bambino selettivamente mutacico può impegnarsi in giochi fittizi o assumere atteggiamenti di distanziamento. Si possono infatti osservare comportamenti impacciati, una postura rigida e l’evitamento del contatto oculare. Lo sguardo può essere inespressivo, assente. Chi gli sta accanto può pensare che il bambino sia disinteressato o stia intenzionalmente ignorando l’altro.

Così facendo questi bambini tendono a ritirarsi fino all’isolamento sociale con il rischio di ostacolare lo sviluppo di competenze relazionali.

La comunicazione del proprio malessere avviene attraverso il pianto; i comportamenti oppositivi o gli eccessi d’ira; il negativismo; i tratti compulsivi; la comunicazione non verbale. Queste forme di comunicazioni sono segnali di un desiderio di comunicare qualcosa che sembra restare “impigliato in gola”.

 

Area emozionale

La prima cosa che appare del bambino mutacico è il suo comportamento manifesto al quale vengono fatte attribuzioni, inferenze, come per esempio: “è solo molto timido, ma crescendo gli passerà” (Kumpulainen et al. 1998; Vecchio e Kearney, 2005) oppure “lo sta facendo apposta” o ancora “non è interessato”. Questi significati che vengono dati al comportamento del bambino mutacico ostacolano e rendono più difficile la comprensione del vissuto emotivo che il bambino porta con sé nelle situazioni per lui problematiche.

È importante dunque sottolineare che il bambino che manifesta comportamenti di ritiro sociale, di evitamento dello sguardo dell’altro e di silenzio, non lo fa per attirare l’attenzione di chi lo circonda, ma, al contrario, ne necessita al fine di gestire uno stato ansioso per lui difficile da gestire e da comunicare.

Il vissuto emotivo più problematico è quello della vergogna che è legato all’esposizione di sé al giudizio dell’altro.

 

Area cognitiva

Un sottotitolo che potremmo mettere al silenzio del bambino mutacico è “ci sono ma non mi espongo” per portare alla luce alcune modalità che il bambino utilizza per comunicarci il suo desiderio di parlare e prendere parte in modo attivo nei vari contesti di vita.

I segnali attraverso i quali il bambino tenta di comunicare questo suo desiderio e al contempo la sua difficoltà possono essere per esempio il sussurrare all’orecchio del compagno durante le pause scolastiche per poi ritirarsi nel silenzio in classe, i sorrisi o le espressioni non verbali che spingono l’altro a sostituirsi a lui, i pianti o le dimostrazioni di rabbia.

Vediamo come spesso il bambino mutacico spinga l’altro a sostituirsi a lui, a comunicare al suo posto (Capozzi et al., 2012). L’altro assume un ruolo importante perché aiuta il bambino a dare voce ai suoi pensieri assolvendo ad alcuni dei suoi bisogni fondamentali come per esempio: regolare lo stato emotivo del bambino e aiutarlo ad affrontare situazioni percepite come minacciose.

 

DIAGNOSI DIFFERENZIALE E COMORBILITÀ

 

 

Il mutismo selettivo condivide alcune caratteristiche con altri disturbi che sono dunque da prendere in considerazione per effettuare una corretta diagnosi. I quadri diagnostici a cui si fa riferimento sono: disturbi specifici del linguaggio; disturbo dello spettro autistico; schizofrenia e altri disturbi psicotici.

Esso presenta inoltre una forte associazione con il quadro della fobia sociale, di cui già nel 1995 Black e Uhde ne suggerivano il tratto costituzionale e universale nei bambini con mutismo selettivo.

Altre comorbilità rilevate sono:

  • Disturbo d’ansia sociale;
  • Disturbo d’ansia da separazione;
  • Fobia specifica;
  • Disturbo Oppositivo Provocatorio;
  • Sintomatologia enuretica;
  • Disturbo da tic;

 

IPOTESI EZIOLOGICHE

 

 

Caratteristiche ricorrenti nei bambini con mutismo selettivo sono i tratti temperamentali di timidezza, inibizione, riservatezza, diffidenza e negativismo (Kristensen e Torgersen, 2001), così come, nella prima infanzia, difficoltà del sonno, difficoltà dell’alimentazione ed irrequietezza (Capozzi et al. 2001; Krysansky 2003).

Possono avere un ruolo, nell’esacerbazione del disturbo, eventi o situazioni quali: conflitti familiari, lutti significativi non solo per il bambino ma anche per i genitori (Subak e al., 1982; Capozzi et al., 2001) e un sistema educativo iperprotettivo (Capozzi et al., 2012).

Si ipotizza inoltre, alla base di questo disturbo, una difficoltà di auto-regolazione di uno stato emotivo di tipo ansioso (Moldan, 2005) che il bambino vive in modo problematico. Ogni conseguente comportamentale di evitamento, di ritiro fisico e verbale è volto a gestire il forte stato di disagio interno, di ansia e di paura. In questi termini sembra che il mutismo selettivo abbia la funzione di proteggere il bambino da richieste sociali e ambientali che non si sente in grado di affrontare.

 

 

COME SI CURA

 

 

Focus del trattamento psicoterapico di tipo cognitivo comportamentale per questo disturbo è la comprensione del funzionamento del bambino e la manifestazione del sintomo. E’ importante dare un primo spazio alla comprensione di come il bambino regola le proprie emozioni, lo stile di attaccamento, le relazioni per lui significative, i luoghi in cui si manifesta il sintomo e quelli in cui il bambino sente di poter essere libero di esprimersi verbalmente. Questo primo passaggio è necessario al fine di individuare il trattamento più funzionale per il singolo bambino e la sua famiglia.

Parliamo anche di famiglia in quanto la terapia, per avere un buon successo, prevede l’inclusione dei familiari lungo tutto il suo percorso. Le figure di accudimento primarie sono infatti il “mondo” del bambino, sono i modelli da cui e grazie ai quali il bambino potrà sentirsi protetto e sostenuto in un momento per lui faticoso e difficile da affrontare. È pertanto ritenuto utile, al fine di ottenere buoni risultati terapeutici, integrare nel percorso psicoterapico dei colloqui con i genitori sia in una prima fase di raccolta delle informazioni necessarie all’elaborazione di un progetto di intervento sia per un successivo parent-training.

Altra area di rilievo nella vita del bambino è la scuola dove il sintomo diventa un significativo ostacolo agli apprendimenti scolastici e all’integrazione con il gruppo dei pari. È qui che diventa di fondamentale importanza la collaborazione con gli insegnanti che con la loro capacità di osservazione possono segnalare la problematica tempestivamente per permettere l’acceso ad un intervento precoce sulla sofferenza e difficoltá del bambino (D’Ambrosio e Coletti 2002; Bissoli 2003a; Bissoli 2007; Steinhausen et al. 2006; Sloan 2007Schwartz e Shipon-Blum 2005).

La terapia cognitiva comportamentale prevede l’utilizzo di rinforzi positivi, tecniche di rilassamento, strategie di desensibilizzazione e di esposizione graduale, per aiutare il bambino ad aumentare il proprio senso di efficacia al fine di poter acquisire la propria autonomia nei vari ambiti di vita.

 

 

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TESTI A CURA DI:

Dott.ssa Elisa Franchi
Psicologo Psicoterapeuta
(Iscrizione all’Ordine degli Psicologi della Toscana n° 6720)

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Bibliografia

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Capozzi, F., Casini, M.P., Fortugno, S., Mazzei, E., Pansini, M., Piperno, F. (2001). Selective mutism: trangenerational secret or familial communicative style disorder? Comunication at 3rd European Congress of Child and Adolescent Psychopathology, Lisbon.

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