Disturbo schizoaffettivo

CHE COS’È

 

 

La diagnosi

 

Nel DSM 5 il disturbo schizoaffettivo è inserito nella categoria dei Disturbi dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici (American Psychiatric Association, 2013).

 

I criteri per la diagnosi sono i seguenti:

  1. Un periodo ininterrotto di malattia durante il quale è presente un episodio dell’umore maggiore (depressivo maggiore o maniacale) in concomitanza con il criterio A della schizofrenia.
  2. Deliri o allucinazioni per due settimane o più in assenza di un episodio dell’umore maggiore (depressivo o maniacale) durante la durata lifetime della malattia.
  3. I sintomi che soddisfano i criteri per un episodio dell’umore maggiore sono presenti per la maggior parte della durata totale dei periodi attivi e residui della malattia.
  4. Il disturbo non è attribuibile agli effetti di una sostanza o a un’altra condizione medica.

 

Il disturbo schizoaffettivo rappresenta di fatto una sorta di ponte tra la schizofrenia, di cui sono presenti sintomi quali deliri e allucinazioni, e i disturbi dell’umore, presentando almeno un episodio dell’umore maggiore. Lo scompenso timico si presenta però sempre in associazione ai sintomi psicotici (almeno 2 tra deliri, allucinazioni, eloquio e comportamento disorganizzato, sintomi negativi), mentre i sintomi psicotici si presentano anche al di fuori della fasi umorali. Quando invece i sintomi psicotici compaiono esclusivamente durante un episodio dell’umore maggiore, il DSM-5 indica come diagnosi più appropriata un Disturbo dell’umore con sintomi psicotici (American Psychiatric Association, 2013).

Il termine psicosi schizoaffettiva fu introdotto dallo psichiatra americano Jacob Kasanin nel 1933 per descrivere una malattia psicotica episodica con sintomi affettivi predominanti la cui prognosi risultava migliore rispetto a quella della schizofrenia. Anche Kraepelin nel 1896 aveva già osservato che il 13% dei casi di dementia praecox avevano una prognosi più positiva: tra questi figuravano i casi di “dementia praecox periodica”- concetto ripreso da Kleist con il termine di “psicosi cicloidi”- ovvero una forma di psicosi in cui i sintomi affettivi e quelli schizofrenici erano presenti simultaneamente (Zaudig, 1990).

 

Entità a sé stante o continuum psicopatologico?

 

Negli ultimi 20 anni la diagnosi di disturbo schizoaffettivo è stata molto dibattuta: si tratta di una diagnosi a sé stante o può essere inglobata nella schizofrenia con episodi dell’umore o nei disturbi dell’umore con sintomi psicotici? Uno studio di follow up longitudinale di 15 anni su pazienti con diagnosi di Disturbo Schizoaffettivo (Jager et al., 2004) ha dimostrato che questi casi avevano una prognosi più simili ai Disturbi dell’umore che alla Schizofrenia. Studi familiari mostrano inoltre un aumentato rischio di Disturbo Schizoaffettivo nei parenti di pazienti con diagnosi di Disturbo Bipolare e di pazienti con Schizofrenia, coerentemente con l’ipotesi che il Disturbo Schizoaffettivo sia infine un sottotipo di questi disturbi o una condizione intermedia tra essi.

 

Categoriale vs dimensionale

 

L’approccio dimensionale risolve il problema dei confini arbitrari tra le diagnosi e dell’instabilità diagnostica, come evidenziato dall’elevata affidabilità test-retest dei costrutti psicopatologici dimensionali. Il sistema Hierarchical Taxonomy of Psychopathology (HiTOP) include 6 spettri: internalizzante, somatoforme, esternalizzante disinibito, esternalizzante antagonista, del disturbo del pensiero/psicoticismo e del distacco. Gli ultimi due vengono inglobati nel superspettro psicotico. Studi strutturali suggeriscono che nella schizofrenia, nel disturbo schizoaffettivo, nella schizotipia e nel disturbo di personalità paranoide sono presenti alterazioni sia nello spettro del disturbo del pensiero sia in quello del distacco (Kotov et al., 2020). L’utilizzo del sistema dimensionale permetterebbe quindi una diagnosi più precisa e dettagliata in quei casi dubbi che si trovano a ponte tra la schizofrenia e i disturbi dell’umore, evitando l’applicazione dei confini netti del DSM-5.

 

 

 

COSA SI PUÒ FARE

 

 

Al momento attuale non esistono linee guida specifiche sul trattamento del Disturbo schizoaffettivo.

Le linee guida più autorevoli sul trattamento dei disturbi psicotici (NICE, 2014; APA, 2022), si concentrano sulla schizofrenia o sulla prevenzione degli esordi psicotici. Nelle linee guida inglesi NICE si raccomanda di inviare a una valutazione specialistica psichiatrica una persona che si trovi in uno stato di angoscia associato a un declino del suo funzionamento e ad almeno uno dei seguenti quadri clinici:

  1. sintomi psicotici transitori o attenuati
  2. altre esperienze o comportamenti insoliti suggestivi di sintomatologia psicotica
  3. un parente di primo grado con diagnosi di psicosi

Queste persone presentano un aumentato rischio di sviluppare sintomi psicotici e dovrebbero pertanto essere valutati da uno specialista psichiatra. Nelle linee guida APA, per quanto riguarda il trattamento della schizofrenia, vengono raccomandati i farmaci antipsicotici e la clozapina nei casi resistenti.

 

 

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TESTO A CURA DI:

Dott.ssa Francesca Chiarello
Medico Chirurgo Specialista in Psichiatria

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Bibliografia

  • American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Washington, DC: Author.
  • American Psychiatric Association. (2022). Clinical practice guidelines.
  • Jager, M., Bottlender, R., Strauss, A., Moller, H.J. (2004). Fifteen-year follow-up of ICD-10 schizoaffective disorders compared with schizophrenia and affective disorders. Acta Psychiatr. Scand. 109, 30–37.
  • Kotov et al. (2020) Validity and utility of Hierarchical Taxonomy of Psychopathology (HiTOP): I. Psychosis superspectrum. World Psychiatry. 19:151-172
  • NICE guidelines. (2014). Psychosis and schizophrenia in adults: prevention and management
  • Zaudig (1990). Cycloid psychoses and schizoaffective psychoses- a comparison of different diagnostic classification systems and criteria. Psychopathology. 23: 233-242