I DISTURBI DELL’EVACUAZIONE

 

Secondo l’ultima edizione del “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (DSM-5; APA, 2013), queste condizioni riguardano il rilascio di urina o feci in luoghi o momenti inappropriati e comprendono Enuresi ed Encopresi. Spesso sono episodi involontari ma, a volte, possono essere intenzionali: sono diagnosticati sia nel periodo dell’infanzia che in quello dell’adolescenza e, in genere, si manifestano singolarmente anche se è possibile una comorbilità di enuresi ed encopresi nello stesso bambino. Rispetto alle precedenti edizioni non ci sono reali cambiamenti nella descrizione delle due ma ora sono raggruppati in una specifica categoria, mentre prima rientravano in quella dei Disturbi Diagnosticati nell’Infanzia, nella Fanciullezza o nell’Adolescenza.

Per effettuare diagnosi di Disturbi dell’evacuazione è fondamentale verificare la possibile presenza di un disturbo emozionale o comportamentale e approfondire se sia la causa e non la conseguenza: nel primo caso, ad esempio, una forte fobia del buio può bloccare il bambino a letto nonostante lo stimolo ad andare al bagno mentre nel secondo caso un disturbo della condotta porta il bambino a violare le comuni norme igieniche.

La terapia cognitivo-comportamentale è, al momento, quella con più alto tasso di guarigione e con la più bassa frequenza di ricadute.

È importante da subito rassicurare i genitori sulla normalità del disturbo spiegando che la soluzione può richiedere tempi anche lunghi e dando suggerimenti affinché il bambino non venga deriso, colpevolizzato o punito.

Un intervento efficace deve partire assolutamente da una ristrutturazione cognitiva riferita agli stili attributivi, alle aspettative di soluzione, alla percezione di ruolo attuate dai genitori rispetto alla situazione e al bambino. Occorre, infatti, valutare le emozioni, i vissuti, le reazioni che sono collegate al problema (es. rabbia, rifiuto, tentativi di sdrammatizzazione, insofferenza malcelata, accettazione fatalistica) e stimolare un confronto. Da qui evidenziare come, spesso, la risposta di entrambi i genitori avrà influenza sul ‘sintomo’ e di come è possibile imparare a modificare – in senso adattivo – comportamenti, pensieri ed emozioni. A seguire alcuni convinzioni irrazionali che amplificano il problema:

  • Proprietà esclusiva (Il problema è di mio figlio – È colpa mia)
  • Usare le maniere forti (Una sculacciata è quello che ci vuole, con me ha funzionato)
  • Educazione permissiva (Se insisto non mi vorrà più bene, mi sento in colpa)
  • Capro espiatorio (Ha preso tutto dal padre)
  • Stigmatizzazione (È cattivo)
  • Catastrofico (Come genitore sono un fallimento – Non ce la faremo mai)

Questi bambini, trovandosi all’improvviso bagnati o sporchi, sperimentano quotidianamente imbarazzo, vergogna e colpa.

Attenzione, infine, a saper differenziare tra un problema neuropsichiatrico e un problema semplicemente educativo. Molti bambini, infatti, nonostante abbiano raggiunto il controllo sfinterico ed acquisito la capacità di autoregolarsi, chiedono il pannolino per fare la cacca: in questo caso si innescano tra genitori e figlio comportamenti e modalità disfunzionali che, involontariamente, mantengono il problema.

 

Il DSM-5 (APA, 2013) individua diverse condizioni all’interno di questa categoria: