Incontro con l’autore – Gabriele Caselli

“Rimuginio. Teoria e terapia del pensiero ripetitivo”

di G. Caselli, G.M. Ruggiero, S. Sassaroli


Gabriele Caselli presenta, attraverso l’ultimo libro scritto insieme a Giovanni Maria Ruggiero e Sandra Sassaroli, un’esaustiva raccolta della letteratura internazionale sul tema del rimuginio che attraverso anni di attività di ricerca e studio sui meccanismi che caratterizzano questa modalità di pensiero ripetitivo, giunge alla formulazione di un modello integrato in grado di inquadrare i processi cognitivi e metacognitivi che caratterizzano tale disturbo. Il testo fornisce oltre ad un inquadramento storico del problema anche gli strumenti di comprensione ed intervento psicoterapico su di esso. Il risultato che ne emerge rappresenta un riferimento essenziale per chiunque voglia occuparsi di rimuginio.


L’evento fa parte di un ciclo di incontri dedicati alla presentazione di testi di recente uscita ed inerenti la psicologia e la psicoterapia, organizzati da Tages Onlus e patrocinati dalla SITCC (Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva).

La partecipazione è gratuita ma è necessaria l’iscrizione scrivendo una email a info@tagesonlus.org oppure compilando il form di iscrizione.

Il numero di posti è limitato.

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Gabriele Caselli

Giovanni Maria Ruggiero

Sandra Sassaroli

State of Mind

Raffaello Cortina Editore

Violenza Domestica: Il Dilemma del Cambiamento

Citazione Consigliata: Soldevilla Alberti, J.M. (2017). Violenza Domestica: Il Dilemma del Cambiamento [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/09/06/violenza-domestica/

 

I recenti fatti di cronaca e l’attuale dibattito politico hanno posto al centro dell’attenzione dei media il tema della violenza sulle donne. Vista l’importanza di questo tema, abbiamo chiesto a Joan Miquel Soldevilla Alberti, docente dell’Università di Barcellona e membro del Comitato Scientifico di Tages Onlus, di scrivere un suo contributo a riguardo. Il prof. Soldevilla da anni studia il tema della “intimate partner violence” evidenziando in particolare come il vivere in un ambiente familiare violento abbia pervasive implicazioni per la valutazione diagnostica e l’impostazione di un intervento psicologico di supporto alle vittime.
E’ bene infatti ricordare come questo fenomeno sia tanto rilevante quanto sottaciuto. In Italia ogni giorno vengono commessi 11 stupri e ogni tre giorni 1 donna viene uccisa. Ma quel che maggiormente dovrebbe preoccuparci e distoglierci da sommarie semplificazioni a fini di campagna politica è che l’80% degli atti di violenza subiti dalle donne avvengono nella propria casa ed assai raramente vengono denunciati. Speriamo che il lavoro del prof. Soldevilla e di molti altri validi colleghi tenga alta l’attenzone su questo tema una volta spentesi le luci dei media.

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I nostri reportage: 61st International Society for the Systems Sciences Congress

Citazione Consigliata: Tages Onlus (2017). I Nostri Reportage: 61st International Society for the Systems Sciences Congress [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/07/14/i-nostri-reportage-international-society-for-the-systems-sciences-congress/

 

Dal 10 al 14 luglio 2017 si è svolto a Vienna il congresso della International Society for the Systems Sciences (ISSS). Il congresso, giunto alla sua 61esima edizione (From Science to Systemic Solutions: Systems Thinking for Everyone), vanta una storia ed un panorama di past president e lecturer di notevole rilievo. A cavallo tra la prima guerra mondiale e la fine degli anni 60 la scienza occidentale ha visto il fiorire di sforzi volti a promuovere un processo di integrazione teorica e applicativa dei saperi esistenti. Da un lato tali sforzi si sono concentrati nello sviluppare modelli unificati all’interno di singole discipline, come ad esempio la teoria del campo unificato e la teoria del tutto in fisica (Hawking, 1998). Dall’altro si costituirono think-thank a carattere temporaneo come i congressi della American Society for the Advancement of Science (antesignana della ISSS) e le conferenze organizzate dalla Macy Foundation, volti a promuovere l’integrazione e lo scambio tra saperi diversi in un’ottica condivisa di progresso scientifico. Questi trend evolutivi della scienza moderna sono accomunati da un focus progressivo su due costrutti a loro volta interconnessi: (i) la concettualizzazione di fenomeni per noi rilevanti in termini di sistemi complessi caratterizzati da pattern auto-organizzativi e dinamiche solo in parte predicibili (Scheffer, 2009); (ii) l’isomorfia tra concetti appartenenti a discipline diverse che funge da supporto nello sviluppo teorico di un singolo sapere e nel persuguire l’unità della scienza nel suo insieme (Bertalanffy, 1976).

La ISSS rappresenta l’evoluzione di questo processo storico della scienza occidentale, annoverando tra i suoi fondatori e past president premi nobel e innovatori nei campi più disparati: dalla biologia (es. von Bertalanffy), alla fisica (es. Prigogine), alla matematica (es. Rapaport), alla cibernetica (von Foerster), alla psicologia (es. Ashby) e così via. Ad ogni congresso si alternano pertanto pensatori disparati e singole giornate dedicate a saperi diversi sempre secondo una prospettiva fondata sui sistemi complessi e sull’isomorfia tra concetti diversi. Vi riportiamo di seguito un breve reportage sulla terza giornata del LXI congresso (Health Day: From Public Health to Health Systems) a cui abbiamo presenziato vista la rilevanza che questo tema ha per le attività e la mission di Tages Onlus.

Secondo il format di tutto il congresso, anche durante la terza giornata dedicata ai sistemi sanitari, si sono alternate durante la mattina le letture magistrali ed una tavola rotonda, nel pomeriggio i workshop e le ricerche afferenti agli Special Interest Group (SIG) della ISSS. La domanda che ha accomunato ogni sessione e ogni relatore è indubbiamente quella della possibilità di gestire la complessità dei sistemi sanitari occidentali a fronte della cosiddetta doppia crisi del nostro welfare, data dall’aumetare esponenziale della domanda a fronte di un progressivo impoverimento delle possibilità di sostenere l’offerta sanitaria (Taylor-Gooby, 2013). Tra i keynote speakers (per un programma dettagliato potete consultare la pagina relativa) non possiamo non citare due dei grandi sviluppatori della teoria dei sistemi complessi nelle organizzazioni sanitarie e non solo: Gerald Midgley e Fredmund Malik.

Gerald Midgley, docente della Hull University, rappresenta uno dei maggiori sviluppatori pensiero sistemico all’interno delle sfide degli organismi pubblici occidentali. A partire dagli anni ’90 ha infatti portato avanti sia una riflessione teorica sui modelli di intervento basati sulla teoria dei sistemi complessi (Midgley & Wilby, 2015), sia una serie di interventi in prima persona volti a applicare tali modelli nella concertazione decisionale nell’ambito della sanità pubblica e delle tematiche ambientali (Midgley, 2000). Durante la sua presentazione ha in particolare descritto il razionale e la metodologia di alcuni interventi svolti in Scozia, Nuova Zelanda e Alaska. In tutti e tre i casi i contesti operativi erano caratterizzati da una notevole frammentazione territoriale sia della domanda che dell’offerta e da una conflittualità comunicativa e decisionale tra tutti gli stakeholder coinvolti. Quello che in particolare ha colpito è l’effetto discriminante della disponibilità degli organi politici (ovvero i promotori dell’intervento) a prescindere da variabili apparentemente più critiche. Midgley e colleghi sono infatti riusciti a raggiungere l’obiettivo prefissato in due ambienti complicati da enormi barriere culturali (ovvero la cultura linguistica e medica dei nativi di Alaska e Nuova Zelanda), fallendo in un contesto per loro più anticipabile, in quanto anglosassoni, come quello scozzese. Al di là dei risultati specifici, il modello di intervento delineato permette di programmare le azioni secondo un metodica ripetibile, flessibile ed orientata ai risultati.

L’altra lecture che maggiormente ha attirato uditori e commenti è stata quella di Fredmund Malik, ormai considerato una sorta di guru della consulenza organizzativa secondo un suo personale modello basato sulla teoria dei sistemi complessi. Dopo aver iniziato la sua carriera come docente dell’università svizzera di San Gallo ha espanso le sue attività sino a divenire visiting professor in numerose università e CEO di una sua azienda di consulenza privata. Nel corso degli ultimi anni ha pubblicato il suo opus magnum rappresentato tra 3 volumi rispettivamente sui temi della teoria del management (Malik, 2010),  governance e policy (Malik, 2011) e strategie manageriali (Malik, 2016). La prospettiva di Malik, fortemente e polemicamente in contrasto con il mainstream americano, vuole presentarsi come alternativa al concetto di shareholder value, ovvero all’idea di improntare un’organizzazione sulla esclusiva massimizzazione del profitto finanziario immediato. Quella che sembrerebbe una posizione meramente (per quanto per alcuni giustamente) politica, rappresenta invece nelle sue parole il frutto di un lungo lavoro di revisione dei modelli gestionali, culturali e decisionali delle organizzazione private e pubbliche occidentali. Tale revisione, ancorata nella cibernetica del secondo ordine e nella teoria dei sistemi complessi, mira a promuovere processi di efficenza produttiva ed organizzativa secondo una procedura validata in oltre 1000 aziende pubbliche e private. Nell’ascoltare Malik quel che colpisce è l’inarrestabile attenzione a sviluppare un modello che bilanci la complessità dei presupposti con l’applicabilità in contesti diversi. Dalla scelta di infografiche e modelli visuali, sino alle metodiche partecipative, tutto è orientato al coinvolgimento il più possibile diffuso del cambiamento organizzativo proposto.

Nel corso della giornata si sono poi alternate presentazioni e dibattiti caratterizzati da un forte integrazione tra sapri pratici e saperi teorici. Durante la mattina numerose ed accesse domande e commenti ha suscitato il dibattito tra alcuni dei lecturer e rappresentanti del mondo medico e politico (tra cui G.M. Auer, il direttore generale del Ministero della Salute austriaco). Nel pomeriggio si sono confrontate diverse posizioni all’interno dei SIG della ISSS. Ci teniamo in particolare a segnalare gli interventi coordinati da Stuart Umpleby (uno dei padri del concetto di emergence) sullo sviluppo storico della teoria dei sistemi complessi e della cibernetica del secondo ordine; nonchè gli interventi in seno al SIG sulla salute mentale durante il quale è stato presentato un modello di psicoterapia basato sul pensiero sistemico nato in collaborazione con Tages Onlus (Cheli, 2017).

 

 

Lo Staff di Tages Onlus

 

 

Bibliografia

Bertalanffy, L. von (1976). General System Theory: Foundations, Development, Applications. Second Edition. New York, NY: George Braziller.

Cheli, S. (2017). An Attempt to Epistemologically Ground Current Psychotherapy. On the Comergence of Human Complex Systems. Proceedings of the 61st Annual Meeting of the International Society of Systems Sciences (In press).

Hawking, S. (1998).  A Brief History of Time. Third Edition. New York, NY: Bantam Books.

Malik, F. (2010). Mastering Complexity Volume 1. Management: The Essence of the Craft. New York, NY: Campus Verlag.

Malik, F. (2011). Mastering Complexity Volume 2. Corporate Policy and Corporate Governance. New York, NY: Campus Verlag.

Malik, F. (2016). Mastering Complexity Volume 3. Strategy: Navigating the Complexity of the New World. New York, NY: Campus Verlag.

Midgley, G. (2000). Systemic Intervention. Philosophy, Methodology and Practice. Berlin, Germany: Springer.

Midgley, G., & Wilby, J. (2015). Learning across Boundaries: Exploring the Variety of Systems Theory and Practice. Systems Research & Behavioral Science 32(5):509-513.

Scheffer, M. (2009). Critical Transitions in Nature and Society. Priceton, NJ: Princeton University Press.

Taylor-Gooby, P. (2013). The Double Crisis of the Welfare State and What We Can Do About It. Basingstoke, United Kingdom: Palgrave McMillan.

Incontro con l’autore – Andrea Fossati

“SCID-5-CV Intervista clinica strutturata per i disturbi del DSM-5” e “SCID-5-PD Intervista clinica strutturata per i disturbi di personalità del DSM-5”

 

edizione italiana a cura di A. Fossati e S. Borroni

 


Il dott. Andrea Fossati e la dott.ssa Antonella Somma presentano la nuova versione delle due interviste cliniche, sviluppate nella loro versione originale da Micheal B. First e colleghi, che permettono al clinico di effettuare la valutazione diagnostica del paziente secondi i criteri del DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali). Le interviste e le relative guide per l’intervistatore rappresentano un prezioso strumento sia per i clinici che per i ricercatori.

L’evento fa parte di un ciclo di incontri dedicati alla presentazione di testi di recente uscita ed inerenti la psicologia e la psicoterapia.


La partecipazione è gratuita ma è necessaria l’iscrizione scrivendo una email a info@tagesonlus.org oppure compilando il form di iscrizione.

Il numero di posti è limitato.

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Andrea Fossati

Antonella Somma

Raffaello Cortina Editore

 

I Nostri Reportage: Incontro con Antonio Onofri

Citazione Consigliata: Tages Onlus (2017). I Nostri Reportage: Incontro con Antonio Onofri [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/05/10/i-nostri-reportage-incontro-con-antonio-onofri/

 

“Nessuno mi aveva mai detto che il dolore assomiglia tanto alla paura. Non che io abbia paura: la somiglianza è fisica. Gli stessi sobbalzi dello stomaco, la stessa irrequietezza, gli sbadigli. Inghiotto in continuazione. Altre volte è come un’ubriacatura leggera, o come quando si batte la testa e ci si sente rintronati. Tra me e il mondo c’è una sorta di dolore invisibile. Fatico a capire il senso di quello che mi dicono gli altri. O forse, fatico a trovare la voglia di capire. È così poco interessante. Però voglio dei momenti in cui la casa è vuota. Ma vorrei che parlassero fra loro e non con me”. (Lewis, 1990)

Non è comune ascoltare riflessioni sul dolore umano della perdita che permettano a chi ascolta di intravedere naturalezza e speranza, senza banalizzare la fatica del lutto e il cordoglio che caratterizza l’assenza di una persona cara che abbiamo perso. L’incontro con Antonio Onofri presso Tages Onlus per la presentazione del libro Il lutto – Psicoterapia cognitivo evoluzionista e EMDR è stato proprio questo. Un libro in cui gli Autori, con straordinaria semplicità e delicatezza, sono riusciti a presentare al pubblico un tema tanto comune quanto poco affrontato dalla manualistica specialistica nazionale. Nel libro trovano spazio un’articolata e completa trattazione dei modelli teorici del lutto fisiologico e complicato (da Bowlby, con il terzo volume della sua trilogia, all’approccio EMDR, passando per Parkes, i teorici del trauma e dello stress e non per ultimi i teorici evoluzionisti), i fattori psicologici intrapersonali e trasgenerazionali che determinano l’evoluzione del percorso del lutto, gli strumenti di valutazione da utilizzare e i modelli clinici di intervento.

Il lutto è una delle poche certezze della vita. Si nasce e si muore. Eppure questo fatto così naturale è stato nel tempo privato della sua dimensione fenomenologica: la morte è diventata un tabù, qualcosa di innominabile, della quale il morente è del tutto spossessato, come se fosse un minore (Aries, 1975). Non se ne parla, come se parlandone potessimo esercitare un’illusione di controllo su ciò che controllabile non è, come se la narrazione rendesse la morte un qualcosa di più imminente.

Se la nostra società va in questa direzione e tenta di ridurre il lutto a un peso da cui ci si deve liberare il più velocemente possibile (sacrificando anche i rituali del cordoglio) Onofri e La Rosa ci invitano invece a riflettere sulla sua natura processuale e ritualistica; sul tempo necessario al sopravissuto per prendere atto della perdita e per fare pace col fatto che niente sarà più come prima. Al di là delle differenze antropologiche o culturali, il lutto è inequivocabilmente un processo biologico con radici evoluzionistiche e precise comunanze nei termini di reazioni fisiologiche, cognitive, emotive e comportamentali.

Come si reagisce a una perdita? Si è soliti descrivere le vicende soggettive che seguono il lutto come un susseguirsi di fasi.

La prima fase è quello dello stupore e dell’incredulità: il dolore è così forte e così intollerabile che ci si deve difendere attraverso una forma di dissociazione. Ci si sente divisi in due, costituiti da una parte apparentemente normale (ANP) che sbriga faccende burocratiche e fa finta di niente, e una parte emotiva (EP) che deve fare i conti con la realtà, con l’inintellegibile dolore della perdita. Inintellegibile perché, come sottolinea Onofri, non si può mentalizzare ciò che non è, il non-essere. La nostra mente non coglie la negazione; non si tratta di tentare un maggiore sforzo intellettuale né di chiamare in causa qualche filosofo. Ciò che non è non è concepibile per l’uomo.

Dopo qualche settimana, chi è in lutto sperimenta definitivamente la realtà della perdita, la sua irreversibilità. È a questo punto che si attiva il sistema dell’attaccamento e che si mette in atto il comportamento congruo con tale attivazione: la ricerca della persona amata. Tale ricerca è spasmodica, spesso vissuta come assurda (“so che è stupido pensare che fosse lui ad aver sonato il campanello…”), ma è un “moto verso” che non si placa di fronte alle barriere della razionalità. Siamo nel pieno della seconda fase, quella dello struggimento.

La terza fase è caratterizzata dalla disperazione e dall’attivazione del sistema dell’accudimento. L’umore è depresso per la certezza della perdita ma si trova consolazione nell’ accudire il ricordo della persona cara. Che si passi la giornata a pulire la tomba o si inquadrettino foto del passato, il comportamento di cura fa da padrone in questa fase.

La letteratura sull’argomento in modo unanime sottolinea come il susseguirsi di queste fasi non sia sequenziale. È più un percorso a spirale, in cui si “sale” e si “scende” fino a che non si trova una stabilità. Per dirlo con le parole di Lewis: “a volte ti trovi di fronte lo stesso paesaggio che pensavi di esserti lasciato alle spalle chilometri prima e allora ti chiedi se la valle non sia una trincea circolare … ma no, ci sono ritorni parziali ma la sequenza non si ripete”.

La quarta fase della fisiologia del lutto è quella della riorganizzazione (e quindi della risoluzione). In questa fase il comportamento di ricerca e la disperazione tipiche di momenti precedenti lasciano spazio all’esplorazione del mondo senza la persona cara. Il lavoro, in questa fase, consiste nel creare nuove routine, nel percorrere nuove strade, o la stessa strada ma con occhi e obiettivi diversi da prima. La resistenza alla separazione dalla persona defunta e la sua incessante ricerca si trasformano. La relazione persa viene interiorizzata. Non c’è la paura di perderla né quella che si affievoliscano i ricordi perché c’è la consapevolezza che la relazione è viva per mezzo di se stessi e del proprio modo di vivere.

E se la fisiologia diventa patologia? Quando si parla di lutto complicato? Onofri sottolinea come la caratteristica principe del lutto complicato sia quella di non mentalizzare il carattere definitivo della perdita. La persona in lutto non solo non riesce a far ripartire la propria vita, a chiudere in modo sereno, seppur talvolta nostalgico, con il passato. Anzi. È bloccata in reazioni primitive di ricerca e rabbia, di allarme, e anche le parole che usa (per esempio i verbi al tempo presente per riferirsi alla persona defunta) fanno intendere come la morte abbia rappresentato un trauma non risolto. In questi casi è importante un intervento terapeutico che lavorando su un duplice piano, mentale e corporeo, possa favorire l’elaborazione dell’evento traumatico. Nel volume sono esposti due possibili orientamenti terapeutici (oltre alla psicoeducazione e agli interventi di sostegno), la psicoterapia cognitivo evoluzionista e l’EMDR, del il quale viene descritto il protocollo specifico da applicare al lutto. Indipendentemente dall’approccio utilizzato, appare chiaro come il lavoro terapeutico debba essere il mediatore che consente alla mente di proseguire l’elaborazione e la presa di coscienza della morte; come si debbano aiutare le persone a ricostruire identità e progettualità e come la vera meta sia rappresentata dalla possibilità di sperimentare il proseguimento di un rapporto di amore pur nell’assenza fisica dell’amato.

“Credevo di poter descrivere uno stato, fare una mappa dell’afflizione. Invece l’afflizione si è rivelata non uno stato, ma un processo. Non le serve una mappa ma una storia, e se non smetto di scrivere questa storia in un punto del tutto arbitrario, non vedo per quale motivo dovrei mai smettere”

 

 

Lo Staff di Tages Onlus

 

 

Bibliografia

Aries, P. (1975) Storia della morte in occidente: dal Medioevo ai nostri giorni. Milano, Biblioteca universale

Bowlby (1980): Attachment and Loss. Vol. 3: Loss, Sadness and Depression, Basic Books, New York. Tr. It.: Attaccamento e perdita, vol. 3. Boringhieri, Torino 1983.

DiMaggio, G., Conti C. Il lutto. Psicoterapia cognitivo-evoluzionista e EMDR (2015) – Recensione

Retrived: http://www.stateofmind.it/2015/09/lutto-psicoterapia-emdr/ http://www.stateofmind.it/2015/09/lutto-psicoterapia-emdr/

Lewis, C.S. (1990). Diario di un dolore. Torino: Adelphi

Onofri, A. & Dantonio T. (2009). La terapia del lutto complicato: interventi preventivi, psicoeducazione, prospettiva cognitivo-evoluzionista, approacio EMDR. Retrived from: fhttp://www.antonioonofri.it/includes/20093_ONOFRI_DANTONIO_LUTTO_COMPLICATO_Psicobiettivo.pdf

Onofri, A., La Rosa C. (2015). Il lutto – Psicoterapia cognitivo evoluzionista e EMDR. Roma: Giovanni Fioriti Editore.

Parkes C. M. (2001). Bereavement: studies of grief in adult life (3rd ed.), Taylor e Francis, 12 Philadelphia

Incontro con l’autore – Antonio Onofri

“Il lutto. Psicoterapia cognitivo-evoluzionista e EMDR”

 

di A. Onofri e C. La Rosa

 


Il dott. Antonio Onofri presenta il suo lavoro attraverso il quale ha affrontato il delicato tema del lutto e della perdita, offrendo ai lettori uno strumento di intervento clinico basato sull’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) che include scale di valutazione, criteri diagnostici e protocolli di intervento. Il testo fornisce inoltre interessanti spunti di riflessione sull’importanza delle relazioni per l’essere umano, tanto fondamentali da superare la fine della vita.

L’evento fa parte di un ciclo di incontri dedicati alla presentazione di testi di recente uscita ed inerenti la psicologia e la psicoterapia.


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Antonio Onofri

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I Pionieri: Horowitz e gli Stati Mentali

Citazione Consigliata: Tages Onlus (2017). I Pionieri: Horowitz e gli Stati Mentali [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/05/03/i-pionieri-horowitz-e-gli-stati-mentali/

 

Con questo post inauguriamo una nuova rubrica, ovvero “I Pionieri” della moderna psicologia e psicoterapia. L’obiettivo è quello di ricordare (e contestualmente tributare un omaggio ad) alcuni pensatori che, nel corso della breve storia della psicologia, hanno introdotto concetti o punti di vista che hanno plasmato molte successive scoperte e teorizzazioni. Nel far questo vorremmo in particolare dar voce a due tipologie di pionieri: quelli troppo spesso dimenticati e quelli troppo spesso dati per scontati. Nella prima categoria possiamo inserire tutti quegli autori le cui opere sono state sovente razziate e raramente citate. Nella seconda possiamo invece collocare quegli autori che molti citano e forse in pochi hanno realmente letto.

Un caso emblematico di quest’ultima categoria è sicuramente lo psichiatra americano Mardi J. Horowitz o meglio la sua formulazione del costrutto di “states of mind“, ovvero di stati della mente (Horowitz, 1979). Riteniamo infatti di non esser stati i soli ad utilizzare il concetto di stati della mente citando il noto libro di Horowitz, senza però aver ben chiaro di cosa realmente tratti o, per dirla tutta, senza averlo mai sfogliato! Queste tre parole ricorrono infatti in testi diversi e in differenti approcci. Indubbiamente Horowitz non fu il primo a coniugare l’espressione “states of mind”  e quando oggi ne parliamo non seguiamo pedissequamente il suo lavoro. Certo è che se guardiamo all’evoluzione della psicoterapia psicodinamica, della psicoterapia cognitivo-comportamentale, della moderna nosografia e psicopatologia non possiamo non riconoscere un continuo ricorrere del libro in questione.

Alla fine degli anni 50′ Mardi J. Horowitz si specializza in psichiatria avvincendosi alle teorie psicodinamiche che gli appaiono come un modo per capire la vita di ogni giorno (Horowitz, 1988, p. 3). In tutti i suoi studi e in tutte le sue teorie ritiene infatti di dover perseguire un approccio pragmatico volto ad aiutare da un lato il clinico nella comprensione sistematica del suo lavoro (Horowitz, 1979, pp. vii-xi), dall’altro il paziente nel dar senso alla sua vita e nel gestire i problemi che possono presentarsi (Yalom & Aponte, 2009). Un’altra componente che riteniamo sia utile a comprendere il successo di questo pioniere è sicuramente l’apertura ed onestà intellettuale nel mettere a verifica le sue ipotesi e confrontarsi con approcci diversi da quello suo di elezione (Horowitz, 1998). La formulazione del costrutto di “states of mind” si realizza infatti all’interno di un cinquantennale programma di ricerca sullo stress e sul disturdo post-traumatico da stress che anno dopo anno e decade dopo decade si è sempre più arricchito integrando dimensoni psicodinamiche, neuro-endocrine, cognitive, interpersonali (Horowitz, 2011). A partire dai primi studi negli 60′ sui pensieri intrusivi e gli stati di stress, sino alle ricerche negli anni 80′ sulle correlazioni tra stress, schemi mentali e personalità e quelle negli anni 90′ sullo sviluppo post-traumatico.

“States of Mind. Analysis of Change in Psychotherapy” (Horowitz, 1979) è un manuale pratico per la concettualizzazione, l’impostazione e la gestione di un percorso psicoterapeutico. La praticità del modello è data da alcuni framework evidenti sin dalla prefazione: (i) un approccio che oggi chiameremo transdiagnostico per il suo bypassare ogni nosografia standard; (ii) una sistematizzazione dei costrutti e dei processi utili a comprendere e favorire i cambiamenti in psicoterapia; (iii) una proceduralizzazione dell’intervento al contempo flessibile e strutturata. Sebbene si consideri una definizione standard di stati mentali come “un pattern ricorrente di esperienza e di comportamento che è sia verbale sia non verbale” (Horowitz, 1979, p. 31), pagina dopo pagina emerge una caratterizzazione operativa che integra fonti diverse e definisce un modello innovativo (la cosiddetta “configurational analysis“).

Ma torniamo agli stati mentali. In termini processuali questi si caratterizzano da un lato per essere sufficientemente stabili nel tempo definendo una specifica “immagine di sè ed un modello interno delle relazioni con gli altri” (Horowitz, 1979, p. 1) e dall’altro per la loro dinamicità che impone al clinico di comprendere come “questi si attivino e come mutino in altri stati” (Horowitz, 1979, p. 42). Cercando così di comprende in maniera pragmatica e sistematica cosa sia un singolo stato mentale con cui paziente e terapeuta di volta in volta si confrontano, Horowitz giunge alla definizione del suo metodo di concettualizzazione. Dove “stati, relazioni di ruolo e processazione dell’informazione sono il focus dell’analisi configurazionale e vengono ripetutamente passati in rassegna” (Horowitz, 1979, p.1). Al contempo, per comprendere la dimensione dinamica dell’esperienza, è necessario dettagliare i processi di self-regulation che la persona attua nel fare fronte ai cambiamenti interni ed esterni a sè. “Anche quando il focus è un singolo problema, molte costellazioni tematiche di idee, sentimenti, e strategie di controllo possono essere descritte” (Horowtiz, 1979, p. 76).

Arriviamo quindi alla concettualizzazione di queste complesse costellazioni secondo un modello di facile applicabilità. Al centro si situa una linea che descrive gli stati mentali consecutivi della persona. In parallelo gli schemi di sè e degli altri (ovvero l’immagine di sè e il modello interno delle relazioni con gli altri) sono rappresentati nelle transizioni tra uno stato e l’altro. Similmente si descrivono le transizioni di altre 5 componenti necessarie a dettagliare come la persona processa e fa fronte ai cambiamenti: (i) eventi, azioni, memorie attive; (ii) idee rispondenti; (iii) risposte emotive; (iv) atteggiamento; (v) strategie di controllo. Queste costellazioni permettono quindi di analizzare nel dettaglio gli stati ricorrenti che tendono a costituire dei veri e propri cicli necessari per comprendere la personalità del paziente e la sua sofferenza.

Per una immediata comprensione, il modello di Horowitz è poi strutturato in 10 step attraverso i quali si passano in rassegna le 3 componenti fondamentali (stati mentali, immagine di sè e modelli di relazioni di ruolo) per valutare quel che il paziente porta inizialmente e poi quali cambiamenti avvengono durante la terapia sia in termini di processi che in termini di outcome. Il protocollo di intervento è stato infatti pensato per favorire e promuovere la ricerca in psicoterapia e la valutazione degli esiti nella pratica quotidiana.

Al di là dei contenuti specifici del modello descritto da Horowitz, riteniamo siano evidenti le ricorrenze tra il suo modo di pensare la psicoterapia e gli stati mentali e certe recenti concettualizzazioni in particolare nell’ambito delle teorie della personalità. E sicuramente, grazie all’opera di Horowitz è possibile comprendere l’evoluzione storica di modelli come la Mentalization Based Treatment (Fonagy & Bateman, 2012), l’Interpersonal Cognitive Therapy (Safran & Segal, 1996), la Terapia Metacognitiva Interpersonale (Carcione, Nicolò & Semerari,, 2016), nonchè il modello alternativo di concettualizzazione dei distutbi di personalità presente nel DSM-5 (APA, 2013).

Oltre ai fondamentali studi nel campo dei distrubi post-traumatici, Mardi J. Horowitz ha indubbiamente contribuito a favorire l’emergere di una nuova visione della psicoterapia. Una visione che mira ad integrare le costruzioni personali ed interpersonali e a travalicare i vincoli dati dai cluster diagnostici.

 

 

Lo Staff di Tages Onlus

Bibliografia

American Psychiatric Association. (2013). Alternative DSM-5 Model for Personality Disorders. In Author, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition, pp. 761-782. Washington, DC: Author.

Carcione, A., Nicolò, G. & Semerari, A. (Eds). (2016). Curare i Casi Complessi. La Terapia Metacognitiva Interpersonale dei Disturbi di Personalità. Bari: Laterza.

Fonagy, P., & Bateman, A. (2012). Handbook of Mentalizing in Mental Health Practice. Whasington, DC: American Psychiatric Pubblication.

Horowitz, M.J. (1979). States of Mind. Analysis of Change in Psychotherapy. New York, NY: Plenum Medical Book Company.

Horowitz, M.J. (1988). Introduction to Psychodynamics. A New Synthesis. New York, NY: Basic Books.

Horowitz, M.J. (1998). Cognitive Psychodynamics: From Conflict to Character. New York, NY: Wiley & Son.

Horowitz, M.J. (2011). Stress Response Syndromes: PTSD, Grief, Adjustment, and Dissociative Disorders, Fifth Edition. New York, NY: Jason Aronson.

Safran, J., & Segal, Z.V. (1996). Interpersonal Process in Cognitive Therapy. New York, NY: Jason Aronson.

Yalom, V., & Aponte, R. (2009). Mardi Horowitz on Psychotherapy Research and Happiness. Psychotherapy.net. Retrieved from: https://www.psychotherapy.net/interview/mardi-horowitz

 

I Nostri Reportage: Incontro con Francesco Mancini

Citazione Consigliata: Cheli, S. (2017). I Nostri Reportage: Incontro con Francesco Mancini [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/04/13/i-nostri-reportage-incontro-con-francesco-mancini/

 

Da giovane studente ignaro ho sempre cercato di rifuggire testi e lezioni sul Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC). Al di là dell’interesse diagnostico per ossessioni e compulsioni, mi è sempre parso un ambito in cui teorici e clinici prediligessero ridondanti meccanicismi. Quando gli psicoterapeuti parlano di disturbi ossessivi la stereotipizzazione ricorrente è quella che tratteggia una semplicistica ed inspiegabile fenomenologia. A partire dalle prime formulazioni quel che ritroviamo è da un lato la sconcertante bizzarria dei sintomi (Westphal, 1878) e dall’altro la gravosa difficoltà nel delineare un trattamento efficace (Freud, 1909).

Nell’ascoltare il dott. Francesco Mancini passare in rassegna gli ultimi 30 anni di studi l’impressione è sorprendentemente diversa. Durante la presentazione de “La mente ossessiva. Curare il disturbo ossessivo-compulsivo” (Mancini, 2016a) svoltasi presso Tages Onlus il 12 aprile 2017, il fil rouge emerso è infatti la sofferente umanità delle persone affette da DOC e la rigorosa eleganza con cui il gruppo formatosi attorno a Mancini ha sviluppato il proprio modello.

Il libro succitato rappresenta a detta di molti una sorta di pietra miliare negli studi del DOC (Lorenzini, 2016), che da un lato integra e sovrordina quanto presente in letteratura, dall’altro formula un’originale ed efficace prospettiva terapeutica, frutto di numerosi studi validazionali e tentativi di falsificazione. Nel ripercorrere la produzione scientifica dell’équipe della Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC)/Associazione di Psicologia Clinica (APC), il libro mostra un incedere logico degno della tradizione falsificazionista (Popper, 1972): non solo si mettono a verifica le ipotesi teoriche e cliniche, ma anche le possibili alternative e critiche al modello. A partire dalla tesi centrale per la quale “alla base delle ossessioni e delle compulsioni vi sarebbe un esasperato timore di colpa” (Mancini, 2016b, p. xv).

Al di là dello specifico interesse legato al DOC, l’opera di Mancini delinea una serie di domande guida che hanno contribuito e tutt’oggi contribuiscono allo sviluppo del cognitivismo clinico. E’ impossile infatti non vedere una riflessione comune e comprensiva che si origina nelle sue prime pubblicazioni relative a quali meccanismi possano mantenere disturbi altamente invalidanti (Mancini, Sassaroli & Semerari, 1984) ed arriva sino alla sfida di inquadrare la “mente ossessiva”.

Considerare un disturbo in termini di processi di mantenimento piuttosto che di resistenze psicologiche o coerenza teorica presuppone due principi tanto cari al cognitivismo clinico italiano. In primis la prospettiva evoluzionistica della teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1951) che vuole rimarcare una traiettoria ontogenetica nello sviluppo delle patologie e dei loro meccanismi psicopatogeni. Secondariamente la lettura costruttivista delle scelte personali  (Kelly, 1968) e dei sistemi biologici di mantenimento  (Maturana & Varela, 1980) che Beck stesso ha nei suoi termini incluso nel background della CBT (Beck & Weishaar, 2000).

Attraverso queste lenti possiamo forse meglio comprendere il modello di funzionamento del DOC sviluppato da Mancini e la vision educativa con la quale si pone di fronte ai suoi uditori. Per non dilungarmi oltre mi limiterò a due costrutti a mio avviso centrali nel libro scritto dal team SPC/APC.
Da un lato il concetto di scopo rappresenta un rimarcare l’umanità del paziente  (non solo DOC) nello sviluppare e mantenere il suo disturbo come un tentativo di dare senso a sé e al suo mondo  (Mancini, 2016c). Anche il più bizzarro dei fenomeni psicologici ha, all’interno del sistema personale di chi lo sperimenta, una sua finalità.
Dall’altro le distinzioni tra razionalità formale e pratica (Gangemi, Mancini, & Johnson-Laird, 2013) e tra colpa deontologica e altruistica (Mancini & Mancini, 2015) meriterebbero di esser più spesso applicate a noi terapeuti che non ai pazienti. La difesa ortodossa dei nostri amati assunti teorici risulta infatti assai perniciosa per la professione e per gli utenti.

Il rigore nel comprendere l’esperienza soggettiva del paziente e nel mettere costantemente a verifica i nostri presupposti teorici, mi concederà Mancini, è un caso auspicabile di indistinguibile sovrapposizione tra deontologia ed altruismo.

 

 

Simone Cheli

Presidente Tages Onlus

 

Bibliografia

Beck, A.T., & Weishaar, M. (2000). Cognitive therapy. In R.J. Corsini & D. Wedding (Eds), Current psychotherapies, sixth edition, pp. 241-272. Itasca, IL: Peacock Publishers.
Bowlby, J. (1951). Maternal care and mental health. A report prepared on behalf of the World Health Organization as a contribution to the United Nations programme for the welfare of homeless children. Geneva: World Health Organization.
Freud, S. (1909). Bemerkungen über einen Fall von Zwangsneurose. Gesammelte Werke, Vol. 7, pp. 381-463.
Gangemi, A., Mancini, F., & Johnson-Laird, P.N. (2013). Emotion, reasoning and psychopathology. In I. Blanchette (Ed), Emotion and reasoning, pp. 44-65. New York: Psychology Press.
Kelly, G.A. (1968). Man’s construction of his alternatives. In  B. Maher (Ed), Clinical psychology and personality. The selected papers of George Kelly, pp. 66-93. New York: John Wiley & Sons.
Lorenzini, R. (2016). La mente ossessiva: curare il disturbo ossessivo-compulsivo (2016) di F. Mancini – Recensione. Retrieved from: http://www.stateofmind.it/2016/07/mente-ossessiva-recensione/
Mancini, F., Sassaroli, S. & Semerari, A. (1984). Teorie psicologiche implicite e soluzioni di problemi nevrotici: un approccio darwinista. In G. Chiari & M.L. Nuzzzo (Eds) Crescita e cambiamento della conoscenza individuale. Psicologia dello sviluppo e psicoterapia cognitivista. Milano: Franco Angeli.
Mancini, A. & Mancini, F. (2015). Do not play God: contrasting effects of deontological guilt and pride on decision-making. Frontiers in Psychology, 6:1251.
Mancini, F. (Ed) (2016a). La mente ossessiva. Curare il disturbo ossessivo-compulsivo. Roma: Raffaello Cortina.
Mancini, F. (2016b). Introduzione. In F. Mancini (Ed), La mente ossessiva. Curare il disturbo ossessivo-compulsivo, pp. xiii-xvi. Roma: Raffaello Cortina.
Mancini, F. (2016c). Sulla necessità degli scopi come determinanti prossimi dellla sofferenza psicopatologica. Cognitivismo Clinico, 13(1):7-20.
Maturana, H.R., & Varela, F.J. (1980). Autopiesis and cognition. The realization of the living. Dordrecth: Kluwer.
Popper, K. (1972). Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica. Bologna: Il Mulino.
Westphal, K. (1878). Uber Zwangsvorstellungen. Nervenkrank, 8:734-750.

Incontro con l’autore – Francesco Mancini

“La mente ossessiva. Curare il disturbo ossessivo-compulsivo”

 

a cura di F. Mancini

 


Il dott. Francesco Mancini presenta, attraverso il suo ultimo libro, un modello di comprensione e trattamento del DOC (Disturbo Ossessivo-Compulsivo) basato sui più recenti sviluppi scientifici, ponendo enfasi sugli scopi e le rappresentazioni che caratterizzano l’attività ossessivo-compulsiva, sugli aspetti di colpa che strutturano il disturbo, sui tentativi di soluzione che il soggetto mette in atto per gestire la sintomatologia, sui fattori di vulnerabilità del disturbo e sull’accettazione dei rischi percepiti dalla persona.

L’evento fa parte di un ciclo di incontri dedicati alla presentazione di testi di recente uscita ed inerenti la psicologia e la psicoterapia.


La partecipazione è gratuita ma è necessaria l’iscrizione scrivendo una email a info@tagesonlus.org oppure compilando il form di iscrizione.

Il numero di posti è limitato.

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Francesco Mancini

Raffaello Cortina Editore

I Nostri Reportage: 25th European Congress of Psychiatry

Citazione Consigliata: Tages Onlus (2017). I Nostri Reportage: 25th European Congress of Psychiatry [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/04/06/i-nostri-reportage-25th-european-congress-of-psychiatry/

 

Tra il 1°e il 4° aprile 2017 Firenze ha ospitato il XXV Congresso Europeo di Psichiatria. Il congresso è stato organizzato dalla European Psychiatric Association (EPA), ovvero la maggiore società scientifica europea di psichiatria che coinvolge numerosi membri individuali e oltre 40 associazioni scientifiche nazionali. Alla 25esima edizione erano iscritti quasi 1000 partecipanti con un programma estremamente variegato e ricco, al punto da annoverare ogni giorno circa 100 relatori tra simposi ed e-posters walk. Nel passare brevemente in rassegna quanto avvenuto, ci limiteremo pertanto a solo poche impressioni e ad alcune tra le relazioni più seguite e dibattute.

Durante il primo giorno di relazioni (successivo ad una giornata di pre-congress workshops) le sessioni con il maggior numero di relatori e partecipanti sono state sicuramente quelle relative ai disturbi bipolari (Bipolar Disorders – BD) e a quelli dello spettro schizofrenico. In particolare si sono passati in rassegna i più recenti studi legati all’insorgenza dei BD e al loro sviluppo evolutivo. Particolarmente seguite le relazioni di Ralph Kupka e Philippe Conus che hanno evidenziato come esordi precoci condizionino negativamente lo sviluppo della patologia. L’équipe di Conus ha inoltre riportato i risultati di uno studio volto a definire un cut-off significativo di età che possa aiutare a distinguere come la componente ereditaria predica l’insorgere del disturbo (figli di genitori con esordio antecedente i 21 anni sarebbero ad alto rischio). Al contempo BD ad insorgenza tardiva parrebbero correlarsi all’esposizione ad eventi traumatici mostrando quindi in tal caso una componente ambientale psicopatogena.

Di grande interesse anche il simposio su i sintomi negativi dello spettro schizofrenico che ha visto il coinvolgimento di due diversi Special Interest Group (SIG) dell’EPA: il SIG sulla schizofrenia e quello sugli studi di neuroimaging. L’obiettivo del simposio è stato infatti quello di mostrare le convergenze tra la concettualizzazione psichiatrica di tali sintomi discendente dalla tradizione fenomenologica e i più recenti studi di neuroimaging. Andrea Raballo ha sottolineato come vi sia una tendenza a sovrastimare i sintomi negativi nell’inquadramento del paziente e della sua patologia conducendo da un lato ad un rischio di diagnosi errata, dall’altro alla tendenza a non valutare il vissuto soggettivo della persone con effetti assai negativi nell’impostazione del piano terapeutico e riabilitativo. Il vissuto soggettivo è infatti fondamentale per comprendere la componente iper-riflessiva del paziente schizofrenico, ovvero la sua tendenza a focalizzare esclusivamente l’attenzione sulla dimensione intrapersonale escludendo quella oggettuale o ambientale. Come ha evidenziato infatti Armida Mucci la concettualizzazione dei sintomi negativi ha visto una significativa evoluzione sia in termini psicopatologici che psicometrici evindenziando due componenti: la cosiddetta avolition e la povertà nell’espressione emotiva. Gli studi fenomenologici e neurobiologici sembrano quindi evidenziare un assunto comune nelle neuroscienze cognitive: come ha più volte rimarcato Daniel Siegel il cervello umano è una macchina anticipatoria. Anche nella compresione della cognizione sociale del paziente schizofrenico la dimensione volitiva ed anticipatoria sono cruciali nell’inquadramento del vissuto soggettivo e delle problematiche psicopatologiche, nonchè nell’impostazione di trattamenti personalizzati.

Tra le molte tematiche presenti nella 3 giorni congressuali, alcune di lunga tradizione (come il dibattito sull’utilità del costrutto di schizofrenia), altre di urgente attualità (come lo sviluppo di servizi in grado di accogliere stranieri e migranti), una ha indubbiamente mostrato notevole vitalità. Ogni qualvolta ci siamo recati alle sessioni dedicate alla neurobiologia e all’epigenetica, molti erano gli uditori in piedi o seduti a terra. Gli studi delle équipe di Thomas Frodl e Rupert Lanzenberger hanno ad esempio evidenziato come la componente epigenetica dei disturbi psichiatrici sia uno dei campi di maggior interesse e di maggior sviluppo. In particolare le meta-analisisi sul ruolo svolto da i recettori 5-HT1a nella depressione e nell’ansia mostrano evidenze assai rilevanti ed incontrovertibili.

E questo ambito risulta tanto più rilevante, quanto al centro di un dibattito non semplicemente scientifico, ma più genericamente culturale e politico sul ruolo della moderna psichiatria. La lettura magistrale di apertura della prima giornata e molte delle discussioni udite, in particolare durante i simposi su temi quali l’epigenetica, hanno evidenziato come la domanda letta in veri editoriali scientifici sia ancora aperta: la psichiatria è in crisi?

Nel formulare la sua personale risposta Mario Maj ha da un lato rimarcato un sentore comune nella psichiatria (e nella psicologia) di contrapposizione e rincorsa alla neurobiologia e dall’altro ha evidenziato la necessità di sviluppare nuovi e complessi sistemi di inquadramento diagnostico. A prescindere dalle specifiche posizioni di singoli autori o gruppi ricerca il perdurare di una percezione di scollamento tra sapere fenomenologico e sapere biologico può solo nuocere al destino della salute mentale.

Da un punto di vista culturale è forse necessaria un’ulteriore assimilazione di concetti propri della neurobiologia e dell’evoluzionismo che delineano una multifattorialità che certo non sminuisce la componente descrittiva e relazionale della psichiatria. Da un punto di vista politico è auspicabile favorire non solo in termini formativi, ma sopratutto in termini decisionali la diffusione di una modalità multidisciplinare e condivisa nel definire ed attuare i piani terapeutici. Solo separando la dimensione culturale da quella politica possiamo operare pragmaticamente nei confronti di due altre dimensioni: quella economica e quella scientifica. L’efficentissimo principio anglosassone “whatever works” riteniamo debba essere applicato nel perseguire un modello di psichiatria sostenibile ed efficace agli occhi di tutti gli stakeholder.

Concludiamo riportando come anche Tages Onlus abbia partecipato con due contributi: (i) uno studio di fattibilità su un intervento integrato e modulare per pazienti con dipendeza da cocaina; (ii) uno studio teorico sull’utilizzo della teoria dei sistemi complessi nello sviluppo della moderna psicoterapia cognitivo-comportamentale.

 

Lo Staff di Tages Onlus