I Nostri Reportage: Incontro con Nicola Petrocchi

Citazione Consigliata: Cheli, S. (2017). I Nostri Reportage: Incontro con Nicola Petrocchi [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/11/14/i-nostri-reportage-incontro-con-nicola-petrocchi/

 

Ad uno sguardo distratto e poco informato una terapia focalizzata sulla compassione può risultare cosa di poco conto o quantomeno a rischio di banalità. Altro pregiudizio a cui un lettore prevenuto potrebbe indulgere è quello di un modello interessato a compiacere l’altro senza quindi basarsi su solide basi cliniche e sperimentali. Devo ammettere che anche chi scrive si è approcciato alla Compassion Focused Therapy (CFS) con molti preconcetti e poche speranze. La prima volta che ebbi l’occasione di ascoltare Paul Gilbert, lo sviluppatore della CFS, mantenni tali pregiudizi fino alla conclusione del suo primo blocco di slide in cui rimarcava l’universalità del concetto di compassion nell’esperienza umana e non solo. Dopo questa introduzione infatti, Gilbert ripercorse i fondamenti neurobiologici e clinici del suo approccio, approfonditi e sperimentati per oltre 30 anni. Ed io compresi di dover e voler aggiornarmi su un nuovo ambito di studio a partire da “La Terapia Focalizzata sulla Compassione. Caratteristiche Distintive” (Gilbert, 2012), la cui edizione italiana è stata curata e tradotta da Nicola Petrocchi.

La storia professionale di Gilbert è forse meglio comprensibile situandola in un’area prevalente di intervento e in un contesto teorico di riferimento: rispettivamente la depressione e la psicologia evoluzionistica. Già nella prima metà degli anni ’80 esce la sua prima formulazione teorica basata su un assunto paradossale: se la depressione è così diffusa a prescindere dai contesti socio-culturali e dalle ere, non possiamo non chiederci come e perchè si sia evoluta, ma soprattutto non possiamo non assumere che si sviluppi attraverso un pattern psicobiologico di risposta con un suo fondamento evoluzionistico e quindi un vantaggio evolutivo (Gilbert, 1984). A partire da questa affermazione e dalla successiva elaborazione possiamo infine comprendere la CFT.

Da un punto vista evoluzionistico la depressione sembra evidenziare un pattern di sviluppo e mantenimento fortemente connotato da una dimensione sociale e relazionale: (i) in termini etologici si caratterizza per comportamenti remissimi; (ii) separazione e perdita sono due tra le cause più comuni; (iii) un tono dell’umore basso ha il vantaggio di segnalare sottomissione ed helplessness ad individui dominanti e potenziali caregiver; (iv) una sconfitta in un confronto sociale o la perdita di rango produce una riduzione nei livelli di serotonina associati a loro volta alla patologia depressiva (Brüne, 2016, pp. 183-194). Quello che sembra emergere è quindi che la depressione e le sue sequele comportamentali, emotive, cognitive ed interpersonali, entro un certo livello, possano offrire un vantaggio adattativo in una specie fortemente connotata da una elevatissima complessità sociale.

E su queste basi Gilbert ha sviluppato un modello ancorato su evidenze cliniche e sperimentali che presuppongono che gli umani abbiano evoluto degli specifici sistemi cerebrali che permettono di percepire un senso di sicurezza, rassicurazione e sollievo e che tutto questo è connesso con l’essere oggetto di cure ed affetto (Gilbert, 1992). Così la CFT si evolve come un modello clinico basato su quei meccanismi emotivi, cognitivi ed interpersonali connessi alla compassione genericamente intesa come “una profonda consapevolezza della propria ed altrui sofferenza, conessa con il desiderio ed il tentativo di alleviarla” (Gilbert, 2009, p. 3).

Durante la presentazione tenutasi a Tages Onlus, Nicola Petrocchi ha chiaramente delineato questo cammino personale e professionale di Paul Gilbert con il quale si è formato e collabora, al punto da aver fondato la sezione italiana della Fondazione Compassion Mind. La relazione ha inoltre permesso di comprendere concretamente, al di là degli assunti teorici e delle evidenze scientiche, come la CFT rappresenti un coerente modello di inquadramento e trattamento della psicopatologia. Gli interventi proposti offrono un interessante piano di intervento clinico che possiamo ricondurre agli approcci della cosiddetta Terza Onda della CBT e a quelle caratteristiche transdiagnostiche, contestualistiche e relazionali che definiscono modelli affini alla CFT stessa (Hayes, 2004). Gilbert ha infatti sviluppato un insieme di metodi terapeutici e di concettualizzazione della sofferenza umana che, senza dimenticare i gold-standard della CBT, mostrano la loro efficiacia in una cornice originale ed innovativa di acceptance e mindfulness che Petrocchi ha ben rimarcato tramite  alcuni esercizi esperienziali.

Sempre ricordandosi come “queste tecniche cognitive e mindful non servono semplicemente ad esplorare delle evidenze alternative, ma a divenire più consapevoli dei nostri stessi processi di mentalizzazione” (Liotti & Gilbert, 2011, p. 21).

 

Simone Cheli

Presidente Tages Onlus

 

Bibliografia

Brüne, M. (2016). Textbook of Evolutionary Psychiatry and Psychosomatic Medicine The Origins of Psychopathology. Second Edition. Oxford: Oxford University Press.

Gilbert, P. (1984). Depression: From Psychology to Brain State. London: Lawrence Erlbaum.

Gilbert, P. (1992). Human Nature and Suffering. London: Lawrence Erlbaum.

Gilbert, P. (2009). The Compassionate Mind. London: Robinson.

Gilbert, P. (2012). La Terapia Focalizzata sulla Compassione. Caratteristiche Distintive. Milano: Franco Angeli.

Hayes, S. C. (2004). Acceptance and Commitment Therapy and the New Behavior Therapies: Mindfulness, Acceptance and Relationship. In S. C. Hayes, V. M. Folette, & M. M. Linehan (Eds.), Mindfulness and Acceptance. Expanding the Cognitive Behavioral Tradition (pp.1-29). New York: The Guildford Press.

Liotti, G., & Gilbert, P. (2011). Mentalizing, Motivation, and Social Mentalities: Theoretical Considerations and Implications for Psychotherapy. Psychology and Psychotherapy: Theory, Research and Practice, 84: 9–25.

La relazione tra self-compassion, dipendenza interpersonale e depressione

Citazione consigliata: Cavalletti, V. (2017). Research news: la relazione tra self-compassion, dipendenza interpersonale e depressione [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/11/14/selfcompassion-depressione-dipendenza

I risultati di un recente studio mettono in luce il ruolo della self-compassion e della dipendenza interpersonale in relazione alla depressione, utilizzando un campione di studenti di college americani

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I NOSTRI REPORTAGE: IL XXVI CONGRESSO AIRIPA

Citazione consigliata: Mori, G. (2017). I nostri reportage: il XXVI Congresso Airipa [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/10/16/i-nostri-reportage-il-xxvi-congresso-airipa

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GIORNATA NAZIONALE DELLA PSICONCOLOGIA: PASSATO, PRESENTE E FUTURO

Citazione Consigliata: Cheli, S. (2017). Giornata Nazionale della Psiconcologia: Presente, Passato e Futuro [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/09/21/giornata-nazionale-della-psiconcologia/

 

Così come l’oncologia, anche la psiconcologia nasce in sordina rispetto ad altre ben più note discipline. Da un lato “negli ospedali l’oncologia medica è nata nei sottoscala” (Scanni, 2015, p. VII), dove si sperimentavano ed applicavano i primi protocolli terapeutici basati su chemioterapici, ovvero farmaci fortemente tossici sviluppati a partire dalle osservazioni sugli effetti antitumorali dei gas impiegati nella Seconda Guerra Mondiale (De Vita & Chu, 2008). Dall’altro sin dagli albori dell’oncologia, si intuisce l’importanza dei fattori psicosociali nel decorso della patologia e nell’impostazione della terapia (Holland & Weiss, 2010).

Parlare di cancro da sempre rappresenta parlare di un’indicibile sofferenza che tanto appare dirompente quanto ingestibile, per i pazienti, i familiari, i professionisti, la società. Anche il più rodato degli psiconcologi non può non aver costruito e mantenuto un’associazione verbale e quindi di pensiero e di vissuto tra cancro e morte, tra cancro e perdita. E così la psiconcologia nasce a metà degli anni 70’ quando alcuni personaggi famosi (Betty Ford, Happy Rockfeller, Betty Rollin, etc.) e alcuni pionieri (Jimi Holland, Paul Razavi, Lea Baider, etc.) rompono un vero e proprio muro del silenzio e pongono al centro della scena l’inestricabile interconnessione tra la sofferenza personale e l’incomunicabilità di questa.

Così, negli anni, la psiconcologia è divenuta un sapere-ponte che ha sempre cercato di favorire la comunicazione e l’integrazione tra i diversi vissuti che di volta in volta i pazienti, i familiari, le reti sociali, i professionisti dentro e fuori l’oncologia sperimentano. Gli interventi psiconcologici spaziano infatti dallo sviluppo di campagne pubblicitarie con finalità psicoeducative a interventi consulenziali e formativi rivolti agli staff oncologici. In mezzo a tutto questo si situano ovviamente i servizi direttamente rivolti ai pazienti e ai familiari. Ma anche in questo caso emerge una specificità che nasce dall’ambizione di svolgere un ruolo di integrazione e supporto ai percorsi terapeutici secondo un principio molto spesso assimilabile a quello del minimax (von Neumann, 1959), ovvero il massimo cambiamento possibile con l’intervento meno perturbativo possibile. Ad un primo livello si può infatti cercare semplicemente di monitorare il vissuto del paziente e supportare/formare il personale sanitario nel suo compito. Ad un livello successivo si offrono ai pazienti interventi psicoeducativi e/o espressivi focalizzati sugli stili di vita e sul promuovere il potenziamento o lo sviluppo di strategie utili a fronteggiare la malattia. Esiste infine un livello equiparabile ai classici interventi psicoterapeuti in cui si cerca di fronteggiare gli effetti negativi di alcune modalità personali o relazionali nel dare senso alla propria vita e quindi alla propria patologia. Il focus è e resta sempre il processo di adattamento a quel lungo interminabile percorso di vita chiamato oncologia. Un percorso che riguarda sempre più persone (1 uomo su 2 e 1 donna su 3 si ammaleranno nel corso della vita) e convoglia sempre più risorse dentro (70% dei pazienti ha avuto problemi lavorativi e il 30% ha dovuto abbandonare il lavoro) e fuori il sistema familiare del paziente (l’oncologia rappresenta la prima voce di spesa del sistema sanitario nazionale).

La psiconcologia si inserisce (a volte a sua insaputa) in un trend di sviluppo della psicologia clinica che sta spostando sempre più l’attenzione dalle categorie diagnostiche ai processi ricorrenti nella sofferenza, da una dimensione normativa ed oggettiva ad un dimensione interpretativa e soggettiva del vissuto umano (Harvey et al. 2004). La sofferenza di una persona trascende e travalica le etichette diagnostiche tanto care ai presunti esperti ed ha molto più a che fare con l’interpretazione di un evento che non l’evento per se.

Diciamo a sua insaputa perché certe intuizioni dei fondatori della psiconcologia sembrano a volte perdersi in una eccessiva autonomia rispetto alla moderna psicologia clinica. Notiamo frequentemente come nei percorsi formativi e negli interventi clinici la psiconcologia sembri mancare di un raccordo diretto con i più recenti sviluppi di quegli approcci che si riconoscono nei suoi stessi principi. Ancora ben poco diffusi sono i trial e i training basati su prospettive come quelle della cosiddetta Terza Onda (Mindfulness-based Cognitive Therapy, Acceptance and Committment Therapy, Metacognitive Therapy, Compassion Focused Therapy, etc.), anche se, ad esempio, uno degli interventi psiconcologici con maggiori prove di efficacia si basa proprio su questi approcci (Carlson & Speca, 2017).

Ci auguriamo che le società scientifiche ed i centri di ricerca si impegnino sempre più nel rendere reale la nomea di sapere-ponte, tanto cara alla psiconcologia.

 

 

Simone Cheli

Presidente Tages Onlus

 

 

Bibliografia

Carlson & L.E. & Speca M. (2017). Affrontare il Cancro con la Mindfulness. Un Programma per Far Fronte alle Terapie e Ritrovare il Senso della Propria Vita. Roma, Italy: Giovanni Fioriti Editore.

De Vita, V.T., &  Chu, E. (2008). A history of cancer chemotherapy. Cancer Research, 68(21): 8643-8653.

Harvey, A., Watkins, E., Mansell, W., & Shafran, R. (2004). Cognitive Behavioral Processes across Psychological Disorders. A Transdiagnostic Approach to Research and Treatment. Oxford: Oxford University Press.

Holland, J.C. & Weiss,T.R. (2010). History of Psycho-oncology. In J.C. Holland et al. (Eds.), Psycho-oncology. Second Edition. Oxford, UK: Oxford University Press.

Scanni, A. (2015). Prefazione. In L. Fioretto & G. Fasola (Eds.), Il Sistema Oncologia. Strutture, Dipartimenti e Processi di Dipartimentalizzazione. Roma, Italy: Fioriti.

von Neumann, J. (1959). On the theory of games of strategy. In A. W. Tucker & R. D. Luce (Eds.), Contributions to the Theory of Games. Princeton, PA: Princeton University Press.

Violenza Domestica: Il Dilemma del Cambiamento

Citazione Consigliata: Soldevilla Alberti, J.M. (2017). Violenza Domestica: Il Dilemma del Cambiamento [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/09/06/violenza-domestica/

 

I recenti fatti di cronaca e l’attuale dibattito politico hanno posto al centro dell’attenzione dei media il tema della violenza sulle donne. Vista l’importanza di questo tema, abbiamo chiesto a Joan Miquel Soldevilla Alberti, docente dell’Università di Barcellona e membro del Comitato Scientifico di Tages Onlus, di scrivere un suo contributo a riguardo. Il prof. Soldevilla da anni studia il tema della “intimate partner violence” evidenziando in particolare come il vivere in un ambiente familiare violento abbia pervasive implicazioni per la valutazione diagnostica e l’impostazione di un intervento psicologico di supporto alle vittime.
E’ bene infatti ricordare come questo fenomeno sia tanto rilevante quanto sottaciuto. In Italia ogni giorno vengono commessi 11 stupri e ogni tre giorni 1 donna viene uccisa. Ma quel che maggiormente dovrebbe preoccuparci e distoglierci da sommarie semplificazioni a fini di campagna politica è che l’80% degli atti di violenza subiti dalle donne avvengono nella propria casa ed assai raramente vengono denunciati. Speriamo che il lavoro del prof. Soldevilla e di molti altri validi colleghi tenga alta l’attenzone su questo tema una volta spentesi le luci dei media.

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