I Nostri Reportage: Incontro con Nicola Petrocchi

Citazione Consigliata: Cheli, S. (2017). I Nostri Reportage: Incontro con Nicola Petrocchi [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/11/14/i-nostri-reportage-incontro-con-nicola-petrocchi/

 

Ad uno sguardo distratto e poco informato una terapia focalizzata sulla compassione può risultare cosa di poco conto o quantomeno a rischio di banalità. Altro pregiudizio a cui un lettore prevenuto potrebbe indulgere è quello di un modello interessato a compiacere l’altro senza quindi basarsi su solide basi cliniche e sperimentali. Devo ammettere che anche chi scrive si è approcciato alla Compassion Focused Therapy (CFS) con molti preconcetti e poche speranze. La prima volta che ebbi l’occasione di ascoltare Paul Gilbert, lo sviluppatore della CFS, mantenni tali pregiudizi fino alla conclusione del suo primo blocco di slide in cui rimarcava l’universalità del concetto di compassion nell’esperienza umana e non solo. Dopo questa introduzione infatti, Gilbert ripercorse i fondamenti neurobiologici e clinici del suo approccio, approfonditi e sperimentati per oltre 30 anni. Ed io compresi di dover e voler aggiornarmi su un nuovo ambito di studio a partire da “La Terapia Focalizzata sulla Compassione. Caratteristiche Distintive” (Gilbert, 2012), la cui edizione italiana è stata curata e tradotta da Nicola Petrocchi.

La storia professionale di Gilbert è forse meglio comprensibile situandola in un’area prevalente di intervento e in un contesto teorico di riferimento: rispettivamente la depressione e la psicologia evoluzionistica. Già nella prima metà degli anni ’80 esce la sua prima formulazione teorica basata su un assunto paradossale: se la depressione è così diffusa a prescindere dai contesti socio-culturali e dalle ere, non possiamo non chiederci come e perchè si sia evoluta, ma soprattutto non possiamo non assumere che si sviluppi attraverso un pattern psicobiologico di risposta con un suo fondamento evoluzionistico e quindi un vantaggio evolutivo (Gilbert, 1984). A partire da questa affermazione e dalla successiva elaborazione possiamo infine comprendere la CFT.

Da un punto vista evoluzionistico la depressione sembra evidenziare un pattern di sviluppo e mantenimento fortemente connotato da una dimensione sociale e relazionale: (i) in termini etologici si caratterizza per comportamenti remissimi; (ii) separazione e perdita sono due tra le cause più comuni; (iii) un tono dell’umore basso ha il vantaggio di segnalare sottomissione ed helplessness ad individui dominanti e potenziali caregiver; (iv) una sconfitta in un confronto sociale o la perdita di rango produce una riduzione nei livelli di serotonina associati a loro volta alla patologia depressiva (Brüne, 2016, pp. 183-194). Quello che sembra emergere è quindi che la depressione e le sue sequele comportamentali, emotive, cognitive ed interpersonali, entro un certo livello, possano offrire un vantaggio adattativo in una specie fortemente connotata da una elevatissima complessità sociale.

E su queste basi Gilbert ha sviluppato un modello ancorato su evidenze cliniche e sperimentali che presuppongono che gli umani abbiano evoluto degli specifici sistemi cerebrali che permettono di percepire un senso di sicurezza, rassicurazione e sollievo e che tutto questo è connesso con l’essere oggetto di cure ed affetto (Gilbert, 1992). Così la CFT si evolve come un modello clinico basato su quei meccanismi emotivi, cognitivi ed interpersonali connessi alla compassione genericamente intesa come “una profonda consapevolezza della propria ed altrui sofferenza, conessa con il desiderio ed il tentativo di alleviarla” (Gilbert, 2009, p. 3).

Durante la presentazione tenutasi a Tages Onlus, Nicola Petrocchi ha chiaramente delineato questo cammino personale e professionale di Paul Gilbert con il quale si è formato e collabora, al punto da aver fondato la sezione italiana della Fondazione Compassion Mind. La relazione ha inoltre permesso di comprendere concretamente, al di là degli assunti teorici e delle evidenze scientiche, come la CFT rappresenti un coerente modello di inquadramento e trattamento della psicopatologia. Gli interventi proposti offrono un interessante piano di intervento clinico che possiamo ricondurre agli approcci della cosiddetta Terza Onda della CBT e a quelle caratteristiche transdiagnostiche, contestualistiche e relazionali che definiscono modelli affini alla CFT stessa (Hayes, 2004). Gilbert ha infatti sviluppato un insieme di metodi terapeutici e di concettualizzazione della sofferenza umana che, senza dimenticare i gold-standard della CBT, mostrano la loro efficiacia in una cornice originale ed innovativa di acceptance e mindfulness che Petrocchi ha ben rimarcato tramite  alcuni esercizi esperienziali.

Sempre ricordandosi come “queste tecniche cognitive e mindful non servono semplicemente ad esplorare delle evidenze alternative, ma a divenire più consapevoli dei nostri stessi processi di mentalizzazione” (Liotti & Gilbert, 2011, p. 21).

 

Simone Cheli

Presidente Tages Onlus

 

Bibliografia

Brüne, M. (2016). Textbook of Evolutionary Psychiatry and Psychosomatic Medicine The Origins of Psychopathology. Second Edition. Oxford: Oxford University Press.

Gilbert, P. (1984). Depression: From Psychology to Brain State. London: Lawrence Erlbaum.

Gilbert, P. (1992). Human Nature and Suffering. London: Lawrence Erlbaum.

Gilbert, P. (2009). The Compassionate Mind. London: Robinson.

Gilbert, P. (2012). La Terapia Focalizzata sulla Compassione. Caratteristiche Distintive. Milano: Franco Angeli.

Hayes, S. C. (2004). Acceptance and Commitment Therapy and the New Behavior Therapies: Mindfulness, Acceptance and Relationship. In S. C. Hayes, V. M. Folette, & M. M. Linehan (Eds.), Mindfulness and Acceptance. Expanding the Cognitive Behavioral Tradition (pp.1-29). New York: The Guildford Press.

Liotti, G., & Gilbert, P. (2011). Mentalizing, Motivation, and Social Mentalities: Theoretical Considerations and Implications for Psychotherapy. Psychology and Psychotherapy: Theory, Research and Practice, 84: 9–25.

I NOSTRI REPORTAGE: IL XXVI CONGRESSO AIRIPA

Citazione consigliata: Mori, G. (2017). I nostri reportage: il XXVI Congresso Airipa [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/10/16/i-nostri-reportage-il-xxvi-congresso-airipa

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I nostri reportage: 61st International Society for the Systems Sciences Congress

Citazione Consigliata: Tages Onlus (2017). I Nostri Reportage: 61st International Society for the Systems Sciences Congress [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/07/14/i-nostri-reportage-international-society-for-the-systems-sciences-congress/

 

Dal 10 al 14 luglio 2017 si è svolto a Vienna il congresso della International Society for the Systems Sciences (ISSS). Il congresso, giunto alla sua 61esima edizione (From Science to Systemic Solutions: Systems Thinking for Everyone), vanta una storia ed un panorama di past president e lecturer di notevole rilievo. A cavallo tra la prima guerra mondiale e la fine degli anni 60 la scienza occidentale ha visto il fiorire di sforzi volti a promuovere un processo di integrazione teorica e applicativa dei saperi esistenti. Da un lato tali sforzi si sono concentrati nello sviluppare modelli unificati all’interno di singole discipline, come ad esempio la teoria del campo unificato e la teoria del tutto in fisica (Hawking, 1998). Dall’altro si costituirono think-thank a carattere temporaneo come i congressi della American Society for the Advancement of Science (antesignana della ISSS) e le conferenze organizzate dalla Macy Foundation, volti a promuovere l’integrazione e lo scambio tra saperi diversi in un’ottica condivisa di progresso scientifico. Questi trend evolutivi della scienza moderna sono accomunati da un focus progressivo su due costrutti a loro volta interconnessi: (i) la concettualizzazione di fenomeni per noi rilevanti in termini di sistemi complessi caratterizzati da pattern auto-organizzativi e dinamiche solo in parte predicibili (Scheffer, 2009); (ii) l’isomorfia tra concetti appartenenti a discipline diverse che funge da supporto nello sviluppo teorico di un singolo sapere e nel persuguire l’unità della scienza nel suo insieme (Bertalanffy, 1976).

La ISSS rappresenta l’evoluzione di questo processo storico della scienza occidentale, annoverando tra i suoi fondatori e past president premi nobel e innovatori nei campi più disparati: dalla biologia (es. von Bertalanffy), alla fisica (es. Prigogine), alla matematica (es. Rapaport), alla cibernetica (von Foerster), alla psicologia (es. Ashby) e così via. Ad ogni congresso si alternano pertanto pensatori disparati e singole giornate dedicate a saperi diversi sempre secondo una prospettiva fondata sui sistemi complessi e sull’isomorfia tra concetti diversi. Vi riportiamo di seguito un breve reportage sulla terza giornata del LXI congresso (Health Day: From Public Health to Health Systems) a cui abbiamo presenziato vista la rilevanza che questo tema ha per le attività e la mission di Tages Onlus.

Secondo il format di tutto il congresso, anche durante la terza giornata dedicata ai sistemi sanitari, si sono alternate durante la mattina le letture magistrali ed una tavola rotonda, nel pomeriggio i workshop e le ricerche afferenti agli Special Interest Group (SIG) della ISSS. La domanda che ha accomunato ogni sessione e ogni relatore è indubbiamente quella della possibilità di gestire la complessità dei sistemi sanitari occidentali a fronte della cosiddetta doppia crisi del nostro welfare, data dall’aumetare esponenziale della domanda a fronte di un progressivo impoverimento delle possibilità di sostenere l’offerta sanitaria (Taylor-Gooby, 2013). Tra i keynote speakers (per un programma dettagliato potete consultare la pagina relativa) non possiamo non citare due dei grandi sviluppatori della teoria dei sistemi complessi nelle organizzazioni sanitarie e non solo: Gerald Midgley e Fredmund Malik.

Gerald Midgley, docente della Hull University, rappresenta uno dei maggiori sviluppatori pensiero sistemico all’interno delle sfide degli organismi pubblici occidentali. A partire dagli anni ’90 ha infatti portato avanti sia una riflessione teorica sui modelli di intervento basati sulla teoria dei sistemi complessi (Midgley & Wilby, 2015), sia una serie di interventi in prima persona volti a applicare tali modelli nella concertazione decisionale nell’ambito della sanità pubblica e delle tematiche ambientali (Midgley, 2000). Durante la sua presentazione ha in particolare descritto il razionale e la metodologia di alcuni interventi svolti in Scozia, Nuova Zelanda e Alaska. In tutti e tre i casi i contesti operativi erano caratterizzati da una notevole frammentazione territoriale sia della domanda che dell’offerta e da una conflittualità comunicativa e decisionale tra tutti gli stakeholder coinvolti. Quello che in particolare ha colpito è l’effetto discriminante della disponibilità degli organi politici (ovvero i promotori dell’intervento) a prescindere da variabili apparentemente più critiche. Midgley e colleghi sono infatti riusciti a raggiungere l’obiettivo prefissato in due ambienti complicati da enormi barriere culturali (ovvero la cultura linguistica e medica dei nativi di Alaska e Nuova Zelanda), fallendo in un contesto per loro più anticipabile, in quanto anglosassoni, come quello scozzese. Al di là dei risultati specifici, il modello di intervento delineato permette di programmare le azioni secondo un metodica ripetibile, flessibile ed orientata ai risultati.

L’altra lecture che maggiormente ha attirato uditori e commenti è stata quella di Fredmund Malik, ormai considerato una sorta di guru della consulenza organizzativa secondo un suo personale modello basato sulla teoria dei sistemi complessi. Dopo aver iniziato la sua carriera come docente dell’università svizzera di San Gallo ha espanso le sue attività sino a divenire visiting professor in numerose università e CEO di una sua azienda di consulenza privata. Nel corso degli ultimi anni ha pubblicato il suo opus magnum rappresentato tra 3 volumi rispettivamente sui temi della teoria del management (Malik, 2010),  governance e policy (Malik, 2011) e strategie manageriali (Malik, 2016). La prospettiva di Malik, fortemente e polemicamente in contrasto con il mainstream americano, vuole presentarsi come alternativa al concetto di shareholder value, ovvero all’idea di improntare un’organizzazione sulla esclusiva massimizzazione del profitto finanziario immediato. Quella che sembrerebbe una posizione meramente (per quanto per alcuni giustamente) politica, rappresenta invece nelle sue parole il frutto di un lungo lavoro di revisione dei modelli gestionali, culturali e decisionali delle organizzazione private e pubbliche occidentali. Tale revisione, ancorata nella cibernetica del secondo ordine e nella teoria dei sistemi complessi, mira a promuovere processi di efficenza produttiva ed organizzativa secondo una procedura validata in oltre 1000 aziende pubbliche e private. Nell’ascoltare Malik quel che colpisce è l’inarrestabile attenzione a sviluppare un modello che bilanci la complessità dei presupposti con l’applicabilità in contesti diversi. Dalla scelta di infografiche e modelli visuali, sino alle metodiche partecipative, tutto è orientato al coinvolgimento il più possibile diffuso del cambiamento organizzativo proposto.

Nel corso della giornata si sono poi alternate presentazioni e dibattiti caratterizzati da un forte integrazione tra sapri pratici e saperi teorici. Durante la mattina numerose ed accesse domande e commenti ha suscitato il dibattito tra alcuni dei lecturer e rappresentanti del mondo medico e politico (tra cui G.M. Auer, il direttore generale del Ministero della Salute austriaco). Nel pomeriggio si sono confrontate diverse posizioni all’interno dei SIG della ISSS. Ci teniamo in particolare a segnalare gli interventi coordinati da Stuart Umpleby (uno dei padri del concetto di emergence) sullo sviluppo storico della teoria dei sistemi complessi e della cibernetica del secondo ordine; nonchè gli interventi in seno al SIG sulla salute mentale durante il quale è stato presentato un modello di psicoterapia basato sul pensiero sistemico nato in collaborazione con Tages Onlus (Cheli, 2017).

 

 

Lo Staff di Tages Onlus

 

 

Bibliografia

Bertalanffy, L. von (1976). General System Theory: Foundations, Development, Applications. Second Edition. New York, NY: George Braziller.

Cheli, S. (2017). An Attempt to Epistemologically Ground Current Psychotherapy. On the Comergence of Human Complex Systems. Proceedings of the 61st Annual Meeting of the International Society of Systems Sciences (In press).

Hawking, S. (1998).  A Brief History of Time. Third Edition. New York, NY: Bantam Books.

Malik, F. (2010). Mastering Complexity Volume 1. Management: The Essence of the Craft. New York, NY: Campus Verlag.

Malik, F. (2011). Mastering Complexity Volume 2. Corporate Policy and Corporate Governance. New York, NY: Campus Verlag.

Malik, F. (2016). Mastering Complexity Volume 3. Strategy: Navigating the Complexity of the New World. New York, NY: Campus Verlag.

Midgley, G. (2000). Systemic Intervention. Philosophy, Methodology and Practice. Berlin, Germany: Springer.

Midgley, G., & Wilby, J. (2015). Learning across Boundaries: Exploring the Variety of Systems Theory and Practice. Systems Research & Behavioral Science 32(5):509-513.

Scheffer, M. (2009). Critical Transitions in Nature and Society. Priceton, NJ: Princeton University Press.

Taylor-Gooby, P. (2013). The Double Crisis of the Welfare State and What We Can Do About It. Basingstoke, United Kingdom: Palgrave McMillan.

I Nostri Reportage – Incontro con Andrea Fossati

Citazione Consigliata: Cheli, S. (2017). I Nostri Reportage: Incontro con Andrea Fossati [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/05/23/incontro-con-andrea-fossati/

 

Il 13 maggio 2017 il prof. Andrea Fossati e la dott.ssa Antonella Somma hanno presentato presso Tages Onlus la traduzione italiana delle due interviste cliniche “SCID-5-CV Intervista clinica strutturata per i disturbi del DSM-5” (First, Williams, Karg & Spitzer, 2017a) e “SCID-5-PD Intervista clinica strutturata per i disturbi di personalità del DSM-5” (First, Williams, Karg & Spitzer, 2017b), sviluppate nella loro versione originale da Micheal B. First e colleghi. L’attento lavoro svolto dall’équipe di Fossati ha permesso ai clinici italiani di usufruire di quello che ad oggi è l’unico strumento riconosciuto per effettuare diagnosi standardizzate (perizie, ricerca, assessment, etc.) secondo i criteri delineati dal “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fith Edition” o semplicemente DSM-5 (APA, 2013a). La pubblicazione delle due interviste rappresenta quindi lo step finale di un lungo processo iniziato nel 2000 che è dunque durato oltre 15 anni (APA, 2002).

Chiunque abbia seguito i dibatti che hanno affiancato la realizzazione di una qualsiasi edizione del DSM sa quante acerrime contrapposizioni si siano da sempre alternate. La storia del DSM è infatti imprescindibile dalla storia dell’American Psychiatric Association e quindi del ruolo che la psichiatria americana ha avuto nel corso del 900 in patria ed all’estero. La gran parte delle proposte classificatatorie e la gran parte delle critiche contro queste sollevate sono infatti nate all’interno del dibattio scientifico, culturale e politiche americano del dopoguerra (Fischer, 2012). Un dibattito che ha sempre più spinto la discussione verso l’ambizione, spesso irrealizzata, di avere delle modalità di diagnosi psichiatrica ripetibili e basate su evidenze scientifiche (Craddock & Mynors-Wallis, 2014).

Sebbene il sistema classificatorio proposto dal DSM non sia l’unico possibile e da molte parti si siano sollevate critiche e proposte alternative nella concettualizzazione, nella valutazione e nella formulazione della psicopatologia, quanto proposto dall’APA rappresenta il metro di paragone storico ed applicativo in tale ambito (Greenwood, 2015). E’ lapalissiano affermare come la quasi totalità delle pubblicazioni esistenti in psichiatria e psicologia clinica facciano direttamente o indirettamente riferimento al sistema del DSM che rappresenta dunque il paradigma scientifico dominante.

Nell’introdurre i due protocolli di intervista Andrea Fossati ha elegantemente evidenziato come all’interno o meglio nascosto da questo paradigma vi siano numerose riflessioni teoriche e studi approfonditi volti ad implementare il sistema diagnostico vigente. In particolare, nell’ambito della concettualizzazione e dell’assessment dei disturbi di personalità, sono evidenti i tentativi di riforma dei cluster presenti già dalla precedente versione del DSM. Tali tentativi rappresentano l’emergere di un filone di ricerca che per quanto non dominante si caratterizza, anno dopo anno, per una capacità esplicativa ed anticipatoria che lo assimila alla definizione di programma di ricerca scientifico progressivo in grado di evolversi costantemente (Lakatos, 1970).

Una valutazione della personalità presuppone infatti una concettualizzazione del sistema di funzionamento globale di una persona che travalica necessariamente la dimensione psicopatologica e che ha spinto teorici e clinici a sviluppare strumenti operativi in grado di com-prendere quante più dimensioni possibili ed adattarsi a quante più popolazioni e contesti (Butcher, 2009). E per quanto i massimi esperti di personalità (tra cui Andrea Fossati) riconoscano nel paradigma DSM un’ineludibile utilità, “ciononostante, una delle criticità del sistema classificatorio dell’APA è la mancanza di una copertura adeguata” (Widiger, 2012) in grado di spiegare l’esperienza umana nella sua interezza. Lasciamo agli storici della psicologia e della psichiatria le riflessioni su quali motivazioni politiche, culturali o economiche abbiamo rallentato il diffondersi di una nuova concettualizzazione dei disturbi di personalità.

Quello che però è interessante notare è come il programma di ricerca alternativo sia presente all’interno ed all’esterno dell’APA. Nei capitoli finali del DSM-5 è infatti stata inserita una formulazione alternativa dei disturbi di personalità tramite la quale ci si auspica di “far fronte ai numerosi limiti dell’approccio corrente” (APA, 2013b, p. 761). L’alternatività sta nel passaggio da una concettualizzazione categoriale ad una dimensionale o di tratto che permette di comprendere il funzionamento del sè ed interpersonale in termini di minore o maggiore gravità, piuttosto che in presenza o assenza di un cluster patologico. Similmente la pubblicazione del sistema classificatorio dei disturbi di personalità nel prossimo International Classification of Diseases, ICD-11 si caratterizza per lo stesso dibattito tra concettualizzazione categoriale e dimensionale (Bornstein, 2016). Anche in questo caso il modello alternativo di disturbi di personalità si focalizza su 5 dimensioni che in base al livello di gravità possono strutturarsi come disturbi o meno (Othmanns & Widiger, 2017).

Quello che in molti sembrano auspicarsi è che il sistema ICD-11 mostri il coraggio innovativo nell’abbandonare un modello categoriale seguendo i suggerimenti che la Task Force dell’APA stessa aveva formulato, affermando come le specificità sintomatologiche potessero essere “meglio rappresentate da dimensioni piuttosto che da un set di categorie, specialmente nell’ambito dei tratti di personalità” (APA, 2002, p.12).

 

Nel confrontare i sistemi ICD e DSM si è soliti evidenziare due differenze. Da un lato l’ICD si è sempre caratterizzato per una finalità maggiormente orientata alla praticità clinica piuttosto che alla pura standardizzazione. Dall’altro il DSM nasce e si sviluppa all’interno di una specifica cornice culturale e linguistica (quella anglosassone), laddove l’ICD ambisce ad essere transculturale. Se dobbiamo individuare una dimensione trasversale tra tutte queste differenze ci piacerebbe fosse quella del pragmatismo inglese, ben rappresentato dal proverbio whatever works, basta che funzioni! Lo stesso principio che a nostro avviso caratterizza le evoluzioni più recenti della psicologia clinica che stanno sempre più portando ad abbandonare categorie contenutistiche necessariamente legate a contesti storici e culturali, per esplorare quei proccessi che ricorrono nell’esperienza umana a prescidere da una dimensione patologica (Harvey, Watkins, Mansell, & Shafran, 2004) o cosiddetta normale (Fleming & frith, 2004).

“Come per tutte le classificazioni, alla fine sono i clinici a decidere. Se una classificazione non aiuta il clinico non sarà usata e quindi la sua utilità clinica sarà il metro del suo successo” (Tyrer, 2014, p. 7).

 

 

Simone Cheli

Presidente, Tages Onlus

 

 

Bibliografia

American Psychiatric Association. (2002). A Research Agenda for DSM-5. Washington, DC: Author.

American Psychiatric Association. (2013a). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition. Washington, DC: Author.

American Psychiatric Association. (2013b). Alternative DSM-5 Model for Personality Disorders. In Author, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition. Washington, DC: Author.

Bornstein, R.F. (2016). Toward a firmer foundation for ICD-11: On the conceptualization and assessment of personality pathology. Personality and Mental Health, 10(2):123-6. doi: 10.1002/pmh.1342.

Butcher, J.N. (2009). Clinical persnality assessment: history, evolution, comtemporary mdels, and practical applications. In J.N. Butcher (Ed.), Oxford Handbook of Personality Assessment. Oxford: Oxford University Press.

Craddock N & Mynors-Wallis L (2014). Psychiatric diagnosis: impersonal, imperfect and important. The British Journal of Psychiatry, 204 (2) 93-95; doi: 10.1192/bjp.bp.113.13309

First, M.B., Williams, J.B.W., Karg, L.S., & Spitzer, R.L. (2017a). Guida per l’Intervistatore per l’Intervista Clinica Strutturata per i Disturbi del DSM-5 [Edizione Italiana a cura di A. Fossati & S. Borroni]. Milano: Raffaelo Cortina.

First, M.B., Williams, J.B.W., Karg, L.S., & Spitzer, R.L. (2017b). Guida per l’Intervistatore per l’Intervista Clinica Strutturata per i Disturbi di Personalità del DSM-5 [Edizione Italiana a cura di A. Fossati & S. Borroni]. Milano: Raffaelo Cortina.

Fischer, B.A. (2012). A review of American psychiatry through its diagnoses: the history and development of the Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. The Journal of Nervous and Mental Disease. 12:1022-30. doi: 10.1097/NMD.0b013e318275cf19

Fleming, S.M. & Frith, C.D. (Eds). (2004). The Cognitive Neuroscience of Metacognition. New York: Springer.

Greenwood. J.D. (2015). A Conceptual History of Psychology. Exploring the Tangle Web. Second Edition. Cambridge, UK: Cambridge University Press.

Harvey, A., Watkins, E., Mansell, W., & Shafran, R. (2004). Cognitive Behavioral Processes across Psychological Disorders. A Transdiagnostic Approach to Research and Treatment. Oxford, UK: Oxford University Press.

Lakatos, I. (1970). Falsification and the methodology of the scientific research programmes. In I. Lakatos & A. Musgrave (Eds.), Criticism and the Growth of Knowledge. Cambridge, UK: Cambridge University Press.

Oltmanns, J.R., & Widiger, T.A. (2017). A self-report measure for the ICD-11 dimensional trait model proposal: the Personality Inventory for ICD-11. Psychological Assessment, 2017 Feb 23. doi: 10.1037/pas0000459

Tyrer, P. (2014). Time to choose – DSM-5, ICD-11 or both? Archives of Psychiatry and Psychotherapy, 3:5-8.

Widigerm T.A. (2012). Hostorical developments and current issues. In T.A. Widiger (Ed.), Oxford Handbook of Personality Disorders. Oxford: Oxford University Press.