I Nostri Reportage: Incontro con Giancarlo Dimaggio

Citazione consigliata: Cavalletti, V. & Cheli, S. (2018). I Nostri Reportage: Incontro con Giancarlo Dimaggio [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2018/03/11/dimaggio/

Uno degli apparenti parodossi dell’evoluzione è quello per cui, dati dei vincoli ambientali ed ecologici, la specie più monotona è quella che meglio sembra adattarsi e quindi sopravvivere (Keeney, 1983, p. 126). Per quanto perfettamente sensata ed inattaccabile sia questa affermazione, il presupposto su cui si poggia è il mantenimento e quindi il non-mutamento dei suddetti vincoli. Quando parliamo di esseri umani e delle loro mutevoli esperienze sembra perciò necessario aggiungere altro. Jean Piaget, nel cercare di sistematizzare la sua comprensione di come noi apprendiamo e cresciamo introdusse l’idea di una ‘equilibrazione maggiorante’ che rappresenterebbe un incremento, potenzialmente progressivo, del range di perturbazioni che un organismo può eliminare, modificando se stesso e la sue strategie di adattamento (Piaget, 1981).

Per quanto questa premessa possa apparire fuorviante nell’introdurre il seminario sul “Trattamento integrato per i disturbi di personalità. Un approccio modulare” (Livesley, Dimaggio & Clarkin, 2016), tenuto da Giancarlo Dimaggio, riteniamo che possa in realtà orientarci nel comprendere l’utilità di un approccio integrato, in termini di pragmatismo eclettico, ed il senso profondo della finalità terapeutica descritta, in termini di promozione e riappropiazione dell’agency da parte del paziente. Quando infatti consideriamo il tema dell’auspicata standardizzazione della psicoterapia, non dobbiamo dimenticarci come i vincoli ambientali, ecologici ed epistemologici di quanto affermiamo siano in costante mutamento e necessariamente rifletteranno la risposta media del paziente ideal-tipico costruito statisticamente su un campione rappresentativo (Ziegelstein, 2015). Un protocollo terapeutico che aspiri a confrontarsi con un pattern patologico complesso deve poter aspirare ad offrire un livello di sartorializzazione dell’intervento parimenti articolato. 

E i clinici che ogni giorno si imbattono nei disturbi di personalità lo sanno bene: si tratta di condizioni molto complesse, difficili non solo da inquadrare e da trattare, ma anche in grado di mettere a dura prova la relazione terapeutica giorno dopo giorno. Dinnanzi a tali difficoltà, l’avvento delle terapie manualizzate ha senza dubbio segnato una svolta importante; a partire dagli anni ’90 infatti hanno preso forma nuove opzioni di trattamento e la loro efficacia è stata misurata utilizzando studi randomizzati controllati. La possibilità di utilizzare delle terapie supportate empiricamente ha senza dubbio agevolato il lavoro del terapeuta ma al contempo ha posto anche una serie di problemi; ad esempio, non sono disponibili trattamenti manualizzati validi per tutti i disturbi di personalità, gli studi di esito che ne confermano l’efficacia in molti casi sono stati svolti su piccoli campioni, si hanno poche informazioni riguardo alla stabilità dei risultati ai follow-up e non sono ancora chiari i reali meccanismi di cambiamento implicati nella terapia.

Nonostante la tendenza attuale sia quella di ricorrere a tali terapie, gli autori del manuale “Trattamento integrato per i disturbi di personalità. Un approccio modulare” (Livesley, Dimaggio & Clarkin, 2016) sostengono che si stia entrando in una nuova fase, caratterizzata dall’integrazione di principi e metodi trasversali ai vari approcci terapeutici, dall’uso di strategie eclettiche e pragmatiche, e dall’emergere di approcci trans-diagnostici focalizzati sulle dimensioni della personalità piuttosto che sulle diagnosi categoriali. L’idea di fondo è che ogni paziente presenti una serie di problemi specifici, unici, che interessano più aree di funzionamento e pertanto il trattamento dovrebbe avvalersi di una varietà integrata di strategie per riuscire a fronteggiarli. La proposta dunque è quella di de-costruire il disturbo spostando l’attenzione sulle aree di compromissione e superando il concetto di entità diagnostiche. Ed è proprio sottolineando questo che Giancarlo Dimaggio, socio fondatore del Centro di Terapia Metacognitiva Interpersonale (Centro TMI) di Roma, ha aperto la presentazione a Tages Onlus del volume scritto insieme a W.J. Livesley e J.F. Clarkin.

Secondo gli autori, affinché la concettualizzazione del disturbo sia in grado di guidare efficacemente il trattamento, deve essere formulata tenendo in considerazione molteplici aspetti. Come prima cosa è necessario distinguere quali siano le disfunzioni generali (inerenti il sé/identità e le relazioni interpersonali) e quali quelle specifiche (es. autolesionismo, rabbia, sensibilità al rifiuto etc.) del disturbo di personalità; questo implica il poter utilizzare metodi più generali utili a trattare il disturbo nel suo complesso, affiancando loro delle strategie specifiche scelte in base alle problematiche poste dal paziente ed al momento in cui si trova la terapia. Per selezionare e sequenziare interventi specifici ed utili, si deve inoltre inquadrare la personalità come un sistema in cui vi sono quattro possibili aree di compromissione funzionale: i sintomi, i problemi di regolazione e di modulazione, i problemi interpersonali e le disfunzioni del sé o dell’identità. Infine, non si può prescindere dall’inquadramento delle unità di base fondamentali per la comprensione del funzionamento della personalità: gli schemi interpersonali.

Dimaggio durante il seminario ha posto particolare enfasi proprio sul ruolo che tali schemi hanno all’interno dei disturbi di personalità. Essi infatti riflettono il modo in cui il paziente organizza la propria esperienza interna, e gli scopi che li sottendono non sono dei semplici desideri contingenti ma derivano da mete selezionate evoluzionisticamente, i Sistemi Motivazionali Interpersonali (SMI). È intorno ad essi, primariamente non coscienti, che vengono organizzati la condotta interpersonale, l’esperienza emotiva ed il pensiero, e prendono forma significati su è possibile riflettere nel dialogo clinico (Liotti & Monticelli, 2008): partendo da tali sistemi, si generano nel corso dell’esperienza delle previsioni schema-dipendenti in grado di dare il via a emozioni forti e routine difficili da disattivare. Attraverso numerosi esempi, l’autore ha illustrato i modi in cui l’attivazione o l’inibizione dei vari sistemi (attaccamento, accudimento, rango, sessualità, cooperazione, gioco e affiliazione al gruppo) riveste un ruolo fondamentale e specifico nel vissuto del paziente.

Dopo aver illustrato la struttura degli schemi interpersonali secondo il modello della Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI; Dimaggio, Montano, Popolo & Salvatore, 2013; Dimaggio & Semerari, 2003), l’autore ha sottolineato l’importanza dell’alleanza terapeutica, rimarcando un altro tema cardine (ed assai dibattuto) degli interventi rivolti ai disturbi di personalità. La trattazione di un costrutto tanto vasto esula ovviamente dalla presente discusssione; ciononostante, riteniamo sia obbligatorio rimarcare due questioni fondamentali. Da un punto di vista storico, l’emergere dei nuovi approcci terapeutici ai disturbi di personalità si inserisce in un progressivo ampliamento degli studi neuroscientifici (Siegel, 1999) e clinici (Safran & Segal,1990; Semerari, 1991) sul ruolo della dimensione relazionale nella genesi e nello sviluppo della personalità. In termini più prettamente clinici, qualsiasi critica alla relazione terapeutica come fattore aspecifico non può non considerare come la gran parte dei moderni (e validati) approcci al trattamento dei disturbi di personalità presupponga una centralità non solo predittiva ma specificamente operativa di tale dimensione (Carcione, Nicolò & Semerari, 2016; Dimaggio, Montano, Popolo & Salvatore, 2013; Dimaggio & Semerari, 2003; Livesley, Dimaggio & Clarkin, 2016; Lysaker & Klion, 2018; Safran & Muran, 2000).

Infine, da un punto di vista più globale sul trattamento dei disturbi di personalità, Dimaggio ha ricordato quanto sia importante in terapia porre attenzione alle parti sani del sé, troppo spesso lasciate in ombra rispetto alle aree di disfunzionalità. L’autore infatti ha ricordato quanto una valorizzazione della rappresentazione alternativa che il paziente ha di se stesso sia fondamentale, quando possibile, fin da subito, per arrivare a scalfire i bias a causa dei quali l’immagine negativa finisce sempre per prendere il sopravvento. Nel fare questo il paziente deve costruire (o ricostruire) la speranza di raggiungere i propri obiettivi, trovando nella relazione con il terapeuta un ambiente sufficientemente sicuro e al contempo challenging.

Il maggior pregio che possiamo riconoscere al “Trattamento integrato per i disturbi di personalità. Un approccio modulare” (Livesley, Dimaggio & Clarkin, 2016) risiede nel fornire al terapeuta ed al paziente una via squisitamente pragmatica, per quanto fallibile e suscettibile di revisioni, alla condivisione di un percorso di cura. Una via che trovi il giusto mezzo tra l’impossibile ricerca di un equlibrio statico (di nuovo della terapia come concettualizzata dal terapeuta e della vita come vissuta dal paziente) e l’illusione di un’evoluzione priva di vincoli personali ed ambientali (Piaget, 1981), nella direzione di una maggiore integrazione tra quelli che Giancarlo Dimaggio e i rappresentanti della TMI concettualizzano come stati del sè.

 

dott.ssa Veronica Cavalletti

(Psicologa)

dott. Simone Cheli

(Psicologo Psicoterapeuta, Presidente di Tages Onlus)

 

 

Bibliografia

Carcione, A., Nicolò, G., & Semerari, A. (2016) Curare i casi complessi. La terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità. Roma: Editori Laterza.

Dimaggio, G., Montano, A., Popolo, R., & Salvatore G. (2013). Terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Dimaggio, G., & Semerari, A. (2003). I disturbi di personalità: modelli e trattamento. Stati mentali, metarappresentazione, cicli interpersonali. Roma: Editori Laterza.

Keeney, B. P. (1983). Aesthetics of change. New York: The Guildford Press

Liotti, G., & Monticelli, F. (2008). I sistemi motivazionali nel dialogo clinico: il manuale AIMIT. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Lysaker, P.H., & Klion, R.E. (2018). Recovery, meaning-making, and severe mental illness: a comprehensive guide to metacognitive reflection and insight therapy. New York: Routledge.

Livesley, J.W., Dimaggio, G., & Clarkin, J.F. (2016). Trattamento integrato per i disturbi di personalità: un approccio modulare. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Piaget, J. (1981). L’equilibrazione delle strutture cognitive. Torino: Boringhieri.

Safran, J.D. & Segal, Z.V. (1990). Intepersonal process in cognitive therapy. New York: Basic Books.

Safran, J.D. & Muran, j.C. (2000). Negotiating the therapeutic alliance. A relational treatment guide. New York: The Guildford Press.

Semerari, A. (1991). I processi cognitivi nella relazione terapeutica. Roma: La Nuova Italia.

Siegel, D.J. (1999). The developing mind. Toward a neurobiology of interpersonal experience. New York: The Guildford Press.

Ziegelstein RC (2015). Personomics. JAMA Intern Med. 175(6):888-9

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