Cambiamenti climatici e personali: un legame indissolubile
Citazione Consigliata: Cheli, S. (2023). “Cambiamenti climatici e personali: un legame indissolubile” [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2023/04/20/cambiamenti-climatici-e-personali-un-legame-indissolubile
Il tema del cambiamento climatico viene spesso presentato come un cliché retorico, in cui tre posizioni sono dominanti e tutto quello che ne sta al di fuori è assai sgradito. Sì perché sono posizioni che si definiscono in contrasto ad altre, senza quasi nessuna risposta operativa. La prima è quella di chi minimizza o addirittura nega il problema. Si attacca la validità dei dati scientifici a riguardo e li si inserisce in generiche asserzioni sul variare del clima nelle ere. La seconda è quella (direttamente affine alla prima) per cui chi parla di cambiamento climatico fa ideologia o è ideologico quasi a priori. La mossa del “sei ideologico” è enormemente amata da opinionisti di ogni sorta. Qui spesso si svaluta chi porta avanti il tema del cambiamento climatico in quanto partigiano in senso etimologico e dispregiativo del termine. Infine, abbiamo quelli che (poggiandosi direttamente o indirettamente sulla seconda posizione) esprimono una posizione presuntamente equanime in cui gli altri sono dei creduloni ingenui o dei facinorosi che portano acqua al mulino della negazione del cambiamento climatico.
Per quanto sia impossibile non dissentire o annoiarsi di fronte a posizioni ambientaliste di maniera, associazionismi ben poco pragmatici o amanti della ribalta, coloro che aderiscono alle tre posizioni retoriche sopra elencate attraggano e rappresentano la maggioranza dell’opinione pubblica. Questo non perché io conosca i pensieri della cittadinanza, ma perché i fatti vanno in questa direzione. Abbiamo infatti degli elementi incontrovertibili: la presenza di una situazione catastrofica a livello ecologico unita a limitate politiche finalizzate a contrastare tale situazione espone la nostra specie ad una “minaccia effettiva alla nostra stessa sopravvivenza e a quella dell’ecosistema da cui dipendiamo” (dal testo della Commissione sul cambiamento climatico di Lancet, la rivista scientifica con il più alto impact factor in assoluto; vedi Costello et al., 2023).
I dati e i punti di non ritorno
Vorrei partire da un dato totalmente ignorato dal dibattito pubblico: il punto di non ritorno del surriscaldamento delle acque oceaniche è già stato superato. Nel 2014 la temperatura degli oceani ha raggiunto un livello per cui qualunque nostra azione (in tempi non geologici) può al massimo contenere gli effetti innescatisi, ma non potremo più “detonare” il meccanismo (Heinze et al., 20221; Tanaka & Houtan, 2022). Nei 150 anni precedenti solo nel 2% dei casi le temperature erano fuori scala, dal 2014 nel 50% dei casi. Per chi non abbia chiaro il senso di questo dato devo specificare come più del 90% dei gas serra sono assorbiti dagli oceani. In breve, abbiamo già drammaticamente alterato uno dei meccanismi di regolazione fondamentale dell’inquinamento e della temperatura terrestre. Gli oceani ricoprono infatti il 70% del pianeta ed hanno un ruolo primario in un altro meccanismo regolatorio: ovvero i ghiacciai delle calotte polari.
Il ghiaccio polare si sta infatti sciogliendo al punto tale che la crosta terrestre si sta muovendo (Coulson et al., 2021). Sì, avete letto bene: si sta muovendo e così condiziona regioni a migliaia di chilometri di distanza. Questo dato apparentemente bizzarro, vuole aiutarci a capire come gli effetti dei cambiamenti climatici in corso condizionano i movimenti della crosta terrestre e delle correnti oceaniche, e queste a loro volta condizionano la capacità del nostro pianeta di autoregolarsi. Quindi non abbiamo solo alterato un parametro, ma il sistema in grado di regolare tale parametro. Come un tumore tiroideo che altera sì i parametri ormonali (es. la tiroxina), ma altera anche la capacità regolatorie che la tiroide ha su altri organi condizionando il metabolismo di tutto il corpo.
Un team di ricercatori tedeschi ha utilizzato una complessa forma di intelligenza artificiale (machine-learning) per analizzare una mole enorme di dati provenienti da tutto il mondo (Callaghan et al., 2021). I risultati confermano la natura globale dei cambiamenti climatici e dei relativi processi regolatori: l’85% della popolazione mondiale e l’80% del globo terraqueo sono stati direttamente colpiti da tali cambiamenti.
A volte mi sorprende come vi sia nel dibattito pubblico un così basso interesse per questi dati. Perché se numerosi sono i danni fatti sino ad oggi, enormi sono i vantaggi che potremmo conseguire intervenendo con azioni concrete. Si stima che se entro il 2030 riusciremo a contenere l’innalzamento della temperatura terrestre avremo effetti positivi diretti e indiretti (vedi il countdown sopra riportato). Nel promuovere questo processo siamo infatti portati allo sviluppo di un sistema economico più sostenibile ed efficiente (Ürge-Vorsatz et al., 2014). In letteratura si parla di “co-benefit” ovvero dei vantaggi che emergono dal perseguire un cambiamento per quanto questo richieda un investimento (così come smettere di fumare è sicuramente stressante, ma migliora la nostra qualità della vita). In primis si stimano trasformazioni a livello sanitario. Uno studio evidenzia che le azioni climatiche previste (innalzamento della temperatura a massimo +1.5° invece che a +2°) porterà entro il 2040 a una riduzione di 3 milioni di morti premature, con aumenti dell’aspettativa di vita di oltre 15 mesi (Haines, 2017). Nella sola Gran Bretagna si calcola una riduzione di 54 miliardi di sterline all’anno nel bilancio del sistema sanitario per i ridotti effetti dell’inquinamento sulla salute dei cittadini (Jennings et al., 2020). La London School of Economics ha poi motivato che il raggiungimento della “deadline” 2030, porterebbe ad un aumento del prodotto interno lordo mondiale di ben 5 punti. Non solo, in questo scenario (aumento della temperatura a solo +1.5°) i costi per la gestione del cambiamento climatico stesso sarebbero almeno la metà di quelli di uno scenario in cui la temperatura salisse a +2.5°.
Perché se dimenticarci delle azioni concrete a contrastare il cambiamento climatico può portare ad effetti globali ed esponenziali, il riuscire ad investire in tali azione può instaurare un circolo virtuoso.
Cambiamento e implicazioni del cambiamento
Una delle persone che maggiormente hanno condizionato la mia scelta di fare il clinico fu una terapeuta americano di nome Dennis Hinkle con cui fui in contatto durante gli ultimi anni della sua vita. Era un clinico, per cui non amava la ribalta, ma a metà degli anni 60’ scrisse una tesi di dottorato che è stata fonte di ispirazione (e copy-and-paste) di numerosi terapeuti e pubblicata solo nel 2010 (Hinkle, 2010). In quella tesi Hinkle evidenziava un concetto centrale per comprendere i cambiamenti psicologici. Le persone non operano scelte binarie tra fare o non fare una cosa, quanto piuttosto in base alla sostenibilità di queste all’interno del loro sistema di significati personali. Che fumare faccia male lo sappiamo tutti, ma smettere di fumare non è un mero bilanciamento razionalistico (altrimenti nessuno fumerebbe!). Continuo a fumare perché per me fumare è un modo per rilassarmi dopo il caffè, per socializzare a lavoro e magari perché no per avviare una conversazione la sera al pub con quel ragazz* che continuo a guardare da un’ora. Dunque cambiare (anche una sola azione) implica metter mano ad un sistema assai complesso di bisogni, significati, modi di fare.
Le tre posizioni retoriche da cui sono partito falliscono primariamente perché tendono a seguire logiche binarie e lineari: rifiuto il cambiamento oppure ricerco la singola scelta razionale che acquieta la mia ansia o forse la mia coscienza (da quelli che scoprono le centrali nucleari o i monopattini ai vati dei biocombustibili). Pensateci: se ho smesso di fumare mi può aiutare giocherellare con le penne, comprare caramelle o altro, ma fin quando non avrò cambiato il mio stile di vita quel cambiamento sarà assai aleatorio. Devo magari riconoscere che spesso ho usato la sigaretta per non entrare in contatto con mie emozioni, che se non fumo riesco a riprendere a camminare in montagna e magari con tutti quei soldi risparmiati posso…
Il cambiamento climatico ci pone dinnanzi alle sfide di cui parlava Dennis Hinkle: cambiare non è mai cambiare un’azione o un pensiero e basta. Il problema di fondo, la lezione su cui possiamo riflettere o no rispetto all’innalzamento delle temperature è che abbiamo costruito uno stile di vita che semplicemente accorcia la vita a noi e a chi ci sta attorno. Come fumare in una stanza chiusa dove noi ed altri viviamo assieme. Non è dunque una posizione ideologica legare lo scioglimento dei ghiacci agli allevamenti intensivi, a diete primariamente o esclusivamente vegetariane, all’uso della bici, eccetera. È uno step ulteriore all’interno di un processo di riflessione personale in cui all’inizio divengo consapevole di un problema, poi tento strategie spesso tranchant e poi provo a ripensare il mio stile di vita in maniera più articolata.
Viviamo su un piccolo pianeta che abbiamo colonizzato in lungo e in largo. Siamo circa 8 miliardi di persone e prima della famigerata deadline del 2030 saremo un mezzo miliardo in più. È abbastanza comprensibile come senza un cambiamento nello stile di vita di tutti, le cose difficilmente si sistemeranno.
L’altro, il diverso e me stesso
Quella che forse è la credenza più dura a contrastare e più perniciosa nel suo scoraggiare ogni cambiamento è credere che noi uomini siamo al centro del creato, anzi sulla cima di una piramide gerarchica. Questa è davvero l’ideologia (nel senso di sistema organico di idee) che più ostacola la ricerca di un modo diverso di vivere. Perché riconoscere come le nostre scelte (vedi i precedenti dati) condizionano enormemente la terra in senso positivo o negativo è un’evidenza. E conseguentemente il proteggere un ecosistema come quello artico non è semplicemente l’effetto di una mia passione per le foche è un’azione all’interno di un quadro più ampio attraverso cui proteggiamo noi stessi e gli altri.
Certo siamo, per quanto evoluti, degli animali che in automatico tendono ad esasperare i loro vantaggi e difenderli. Ma gli stessi meccanismi evoluzionistici che ci hanno permesso di costruire piramidi e astronavi, sono utilizzabili anche per promuovere una conversione ecologica. Nel senso che la natura ha programmato tutte le forme di vita per considerare la difesa dalla minaccia (genericamente definita) come il default mode, ma ha anche prodotto una linea evolutiva (ovvero i mammiferi e poi i primati) in cui la socializzazione è lo strumento “vincente” di adattamento (Gilbert, 1989). Noi siamo programmati per riconoscere ciò o chi è ignoto come potenzialmente minaccioso (e numerosi sono i meccanismi alla base di questo), ma quando incontriamo l’altro (a noi simile o no) attiviamo delle funzioni metacognitive che ci permettono di simulare la sua esperienza (Mitchell et al., 2006). E tanto più abituiamo nel corso degli anni ad automatizzare o meno questi processi, tanto più o tanto meno l’altro diverrà il diverso se non il minaccioso (Phelps et al., 2000). I bambini hanno spesso rispetto al cibo una riposta definita come neofobica (ovvero i sapori nuovi attivano modalità difensive di disgusto). Ma questo dato contrasta con la condizione della nostra specie in quanto animali onnivori (una delle linee distintive rispetto ai nostri antenati è proprio l’aumento esponenziale di ciò che per noi è edibile). Dunque perché questo stadio evolutivo naturale (la neofobia) si associa ad una strategia evoluzionistica opposta (onnivorismo)? Perché interviene un processo educativo da parte degli altri membri del gruppo e di apprendimento da parte del bambino! Strategie xenofobe in senso lato (ciò che estraneo mi spaventa) sono estremamente limitanti: funzionano solo in ambiti e fasi specifiche, così come la neofobia alimentare se va oltre quello stadio naturale (2-6 anni) genera una ridotta capacità di adattamento (Marlow & Forstell, 2022).
Quella credenza per cui l’uomo sarebbe alla cima della piramide e non uno dei nodi di un sistema chiamato terra, aumenta la probabilità che riconosciamo non solo altre specie o forme di vita come minacciose o insignificanti, ma anche membri della nostra specie. In una terra con sempre meno risorse una mentalità sociale del genere tenderà a ridurre sempre più il novero dei simili ed aumentare quello dei minacciosi o insignificanti.
Eco-ansia e cambiamento climatico in psicoterapia
Il legame tra cambiamento climatico e personale è sempre più presente in psicoterapia. Da un lato molti studiosi riconoscono che la capacità di inquadrare e comprendere le problematiche di adattamento psicologico al cambiamento climatico sia uno strumento fondamentale per i clinici (Budziszewska & Jonsson, 2022). Dall’altro lato una survey condotta dall’American Psychological Association evidenzia come più di due-terzi degli adulti mostrino almeno un livello minimo di eco-ansia, mentre la metà degli under-34 livelli addirittura elevati. Nei più giovani, in particolare nei minori, l’eco-ansia è un tema centrale esacerbato dalla sensazione di scollamento rispetto alle precedenti generazioni. Questo gap generazionale, per cui i decisori politici hanno un’età media tale che gli effetti più drammatici di una mancata transizione ecologica non impatteranno sulle loro vite, genera un senso di frustrazione e helplessness. Capita frequentemente che adolescenti o giovani adulti riportino in terapia il tema del cambiamento climatico come una sorta di sofferenza ingestibile che si può soltanto scacciare o sentirsene sopraffatti.
In questi casi è fondamentale affiancare interventi specifici ad usuali strategie finalizzate alla riduzione dei sintomi psicologici (Australian Psychological Society, 2017). Nel primo gruppo ricadono azioni terapeutiche miranti a promuovere un empowerment nel paziente. In primis, è fondamentale riconoscere e validare questa forma di sofferenza, senza derubricarla a genica sintomatologia. La persona deve essere invitata a parlare di questo vissuto per poi poter individuare delle aree personali ed interpersonali di azione. Secondariamente, i pazienti devono essere supportati a formulare e sviluppare delle scelte di vita che sentano coerenti con la loro visione del mondo e del cambiamento climatico. In un questo senso gli interventi non si differenziano dalla generale psicoterapia, solo cercano di essere “informati” dallo specifico contesto della conversione ecologica. Ad esempio supportare il paziente nello sviluppare strategie alimentari (es. affidarsi a filiere sostenibili) o di vita (es. uso della bici per andare a lavoro) ha un importante effetto nella gestione dell’eco-ansia. Inoltre, è utile favorire la comprensione del soggettivo sistema valoriale che avvicina cambiamento ecologico a cambiamento personale. Spesso le persone trovano importante attuare anche strategie di advocacy e condividere con altri il proprio impegno civico e ambientalista. A tal fine il terapeuta deve avere conoscenza del fenomeno del cambiamento climatico e delle strategie che sappiamo favorire una conversione ecologica. Questo non per “istruire” il paziente, quanto piuttosto per poter supportare la persona nel momento in cui decida di intraprendere un percorso.
Il caso del lupo e quello dell’orso
Nel noto parco americano di Yellowstone la popolazione dei lupi era progressivamente scomparsa a causa della caccia da parte degli uomini. Successivamente delle scelte forse “ideologiche” portarono alla reintroduzione di questa specie. Gli effetti furono in buona parte inattesi (Smith & Peterson, 2021). Come desiderato la popolazione delle alci (che stava crescendo esponenzialmente) fu contenuta anche a vantaggio di queste che non andarono più incontro a carestie ed epidemie. Ma emersero anche effetti inattesi come il ripopolamento dei castori e, a cascata, la rinascita di piante quasi scomparse e il consolidamento dei fiumi. Tra le specie che indirettamente beneficiarono di questo processo vi fu anche l’orso. Ed oggi lo sviluppo di politiche di conservazione faunistica e di educazione turistica fanno di Yellowstone un parco dove è possibile interagire a determinate e specifiche condizioni con tutte queste specie, orso incluso. Rammarica vedere come in alcuni parchi e regioni italiani queste forme di reintroduzione non siano state accompagnate da processi di conservazione ed educazione adeguati, perpetuando immancabilmente la narrazione del noi e del loro. Dove noi stiamo sulla vetta della piramide e loro ben sotto.
Bibliografia
Australian Psychological Society (2017). The Climate Change Empowerment Handbook. Sydney: Australian Psychological Society.
Budziszewska, M., & Jonsson, S. E. (2022). Talking about climate change and eco-anxiety in psychotherapy: A qualitative analysis of patients’ experiences. Psychotherapy, 59(4), 606–615. https://doi.org/10.1037/pst0000449
Callaghan, M., Schleussner, CF., Nath, S. et al. Machine-learning-based evidence and attribution mapping of 100,000 climate impact studies. Nature. Climate Change. 11, 966–972 (2021). https://doi.org/10.1038/s41558-021-01168-6
Costello, A., Romanello, M., Hartinger, S., Gordon-Strachan, G., Huq, S., Gong, P., Kjellstrom, T., Ekins, P., & Montgomery, H. (2023). Climate change threatens our health and survival within decades. Lancet (London, England), 401(10371), 85–87. https://doi.org/10.1016/S0140-6736(22)02353-4
Coulson, S., Lubeck, M., Mitrovica, J. X., Powell, E., Davis, J. L., & Hoggard, M. J. (2021). The global fingerprint of modern ice-mass loss on 3-D crustal motion. Geophysical Research Letters, 48, e2021GL095477. https://doi.org/10.1029/2021GL095477
Gilbert, P. (1989). Human nature and suffering. London: Psychology Press.
Haines A. (2017). Health co-benefits of climate action. The Lancet. Planetary health, 1(1), e4–e5. https://doi.org/10.1016/S2542-5196(17)30003-7
Heinze, C., Blenckner, T., Martins, H., Rusiecka, D., Döscher, R., Gehlen, M., Gruber, N., Holland, E., Hov, Ø., Joos, F., Matthews, J. B. R., Rødven, R., & Wilson, S. (2021). The quiet crossing of ocean tipping points. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 118(9), e2008478118. https://doi.org/10.1073/pnas.2008478118
Hinkle, D. (2010). The change of personal constructs from the viewpoint of a theory of constructimplications. Personal Construct Theory & Practice, 7, Suppl. 1, 1-61. (2). http://www.pcp-net.org/journal/pctp10/hinkle1965.pdf
Jennings N, Fecht D, De Matteis S, 2020, Mapping the co-benefits of climate change action to issues of public concern in the UK: a narrative review, The Lancet Planetary Health, Vol: 4, Pages: e424-e433 https://doi.org/10.1016/S2542-5196(20)30167-4
Marlow, C. S., & Forestell, C. A. (2022). The effect of parental food neophobia on children’s fruit and vegetable consumption: A serial mediation model. Appetite, 172, 105942. https://doi.org/10.1016/j.appet.2022.105942
Mitchell, J. P., Macrae, C. N., & Banaji, M. R. (2006). Dissociable medial prefrontal contributions to judgments of similar and dissimilar others. Neuron, 50(4), 655–663. https://doi.org/10.1016/j.neuron.2006.03.040
Phelps, E. A., O’Connor, K. J., Cunningham, W. A., Funayama, E. S., Gatenby, J. C., Gore, J. C., & Banaji, M. R. (2000). Performance on indirect measures of race evaluation predicts amygdala activation. Journal of cognitive neuroscience, 12(5), 729–738. https://doi.org/10.1162/089892900562552
Smith, DW, Peterson, RO (2021). Intended and unintended consequences of wolf restoration to Yellowstone and Isle Royale National Parks. Conservation Science and Practice. ; 3:e413. https://doi.org/10.1111/csp2.413
Tanaka KR, Van Houtan KS (2022) The recent normalization of historical marine heat extremes. PLOS Climate 1(2): e0000007. https://doi.org/10.1371/journal.pclm.0000007
Ürge-Vorsatz, Diana and Herrero, Sergio Tirado and Dubash, Navroz K. and Lecocq, Franck, (2014). Measuring the Co-Benefits of Climate Change Mitigation (2014). Annual Review of Environment and Resources, Vol. 39, pp. 549-582, 2014, http://dx.doi.org/10.1146/annurev-environ-031312-125456
No Comments