La crisi della psicologia italiana all’epoca delle leggi razziali

Citazione Consigliata: Tages Onlus (2018). La Crisi della Psicologia Italiana all’Epoca delle Leggi Razziali [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2018/01/27/la-crisi-della-psicologia-italiana-allepoca-delle-leggi-razziali

 

Tra gli oltre duemila italiani che lasciarono il nostro paese a seguito delle leggi razziali si annoverano ben quattro premi Nobel (Emilio Segré, Enrico Fermi*, Rita Levi-Montalcini, Franco Modigliani). E se consideriamo anche l’effetto che la diaspora ebraica tedesca, italiana ed europea ha avuto sullo sviluppo di nazioni come quella americana e sovietica, viene da chiedersi quale sia la ricaduta culturale ed economica di leggi tanto inique. Basti pensare all’influsso che scienziati come Segrè, Einstein e Fermi hanno avuto sulla fisica e le sue applicazioni nella società americana. Oppure alla quantità di personaggi fuggiti a causa delle leggi razziali che hanno plasmato la politica (es. Henry Kissinger) e l’economia (es. George Soros) di quella che è considerata la nazione più pontente al mondo.

Se restringiamo il campo di una simile e sconfinata riflessione alla sola storia della psicologia italiana, possiamo formulare alcune ipotesi assai sconcertanti, per quanto di difficile dimostrazione. Quando scendiamo nel campo dei ‘se e ma’ storiografici tutto appare probabile e niente certo. Quello che però possiamo assumere come punto di partenza è che le leggi razziali hanno rappresentato da un lato una sorta di “catalizzatore” di un processo storico (già in atto) di trasferimento delle conoscenze e delle competenze culturali europee in altre nazioni e continenti (Garber, 2008). Dall’altro le leggi razziali, rappresentando un punto di non ritorno nella condivisione di un modello psicologico di razzismo assai pervasivo e condizionante (Tages Onlus, 2017), hanno a loro volta catalizzato  il forse inarrestabile depauperimento culturale della società italiana durante il ventennio fascista (Amaldi & Zevi, 1989).

Quello che qui ipotizziamo è che la promulgazione delle leggi razziali rappresentò per la psicologia italiana una sorta di punto di rottura di una crisi i cui influssi hanno perdurato per anni (e secondo alcuni perdurano ancora). Importanti studiosi hanno infatti più volte rilevato come la psicologia italiana soffra di un male cronico, dato dalla sua ricorrente incapacità di rendersi autonoma sia da un punto di vista epistemologico che pragmatico nel perenne oscillare tra scienza e filosofia (Cimino & Dazzi, 1998; Marhaba 2003). E l’origine di questo male si situerebbe, in particolare, nella (mancata) transizione tra le sue origini e primi avvincenti sviluppi a fine dell’800 e la seconda guerra mondiale. Dopo un inizio del ‘900 vissuto  con entusiasmo e grande fervore in cui nascono cattedre universitarie, indirizzi ed approcci diversi,  la psicologia italiana si confronta se non con una crisi, con “un cammino quanto meno stentato, se non proprio di regressione” (Cimino & Dazzi, 1998, p. 38).

A sostegno, seppur parziale, della nostra ipotesi poniamo due elementi: uno più genericamente culturale ed uno più specificamente umano. Innanzitutto, quel che sembra definire “lo sviluppo atipico” (Ferruzzi, 1998, p. 714) della psicologia italiana e le sue difficoltà (e crisi) strutturali è connesso dalla gran parte degli storici alla mancata emancipazione dalla filosofia (Cimino & Dazzi, 1998; Mecacci, 1999; Marhaba 2003). Per quanto infatti la psicologia sia per sua natura multidisciplinare e non possa prescindere dalle sue origini filosofiche, ha visto nel corso del novecento un progressivo inserimento all’interno del panorama scientifico occidentale. L’autonomia epistemologica di cui parla Sadi Marhaba (2003), ravvisabile nello sviluppo di altre psicologie “nazionali”, ma non in quella italiana, nasce dal costruire un paradigma culturale ed un’evoluzione metodologica che non sia assoggettata ad una disciplina terza. Quella che in molti hanno definito la crisi della psicologia italiana tra le due guerre, si origina invece da una costante (e frustrata) ricerca di legittimazione da parte del paradigma filosofico dominante. Questa ricerca di legittimazione ha da un lato impoverito le risorse della psicologia italiana, dirottandole lontano dal contemporaneo dibattito continentale e non, e dall’altro si è scontrata con un paradigma filosofico che si posizionava in chiaro contrasto col sapere psicologico. “Una delle principali cause di questo mancato sviluppo è stata individuata nell’affermazione e diffusione della filosofia e della cultura neoidealista di Croce e di Gentile a partire dagli anni ’20, la quale -come è noto- tendeva a sminure il valore conoscitivo della scienza, a svalutare le cosiddette scienze umane e quindi anche la psicologia” (Cimino & Dazzi, 1998, p. 42). Giovanni Gentile, a lungo considerato l’intellettuale di spicco del fascismo italiano, apportò con la sua riforma scolastica due cambiamenti ad uno status quo ante che oggi sembra impensabile: (i) fu abolito l’insegnamento della psicologia presente nei licei sin dal 1889; (ii) fu introdotto l’insegnamento della religione cattolica con “funzioni di una philosophia inferior” (Tarquini, 2016) che fungesse da base minima condivisa delle coscienze nostrane. Al di là di complesse riflessioni storiografiche sul ruolo del neo-idealismo italiano che esulano da questo contributo, non possiamo non ravvisare una sua continuità con una “tradizione classicistica, spiritualistica e antiscientifica della cultura italiana” (Cimino & Dazzi, 1998, p. 43) che ha ostacolato lo sviluppo della psicologia secondo le direttrici presenti nel resto del mondo occidentale. E non possiamo non ricordare come numerosi autori abbiamo riflettuto sull’ostacolo culturale rappresentato dall’interconnessione tra panorama neo-idealista e regime fascista (Ferruzzi, 1998; Luccio, 2013). Ci limiteremo qui a ricordare come sia storicamente (Nolte, 1971) che teoreticamene (Lacoue-Labarthe & Nancy, 1992) il fascismo è sovente interpretato come il tentativo di riafferamre un’identità specifica (nazionale, culturale, etc.) sino al punto di trasformare codesta identità in un assoluto incontrovertibile e immodificabile, un assoluto che non può certo scendere a patti con la variabilità e precarietà della scienza moderna nei suoi metodi e nelle sue finalità. E tragicamente, pur di non venire a patti col diverso e col divergente, l’assolutismo fascista fu pronto a guerre, dispotismi e leggi razziali.

Infine possiamo scorgere come questa cecità nel difendere ad oltranza un presunto ideale identitario possa portare a disconoscere la dimensione umana del nostro agire. Ogni qualvolta noi non riconosciamo nel nostro interlocutore una persona, “possiamo fargli delle cose, ma non possiamo relazionarci” con lui (Bannister & Fransella, 1971, p. 28), considerarlo parte della nostra esperienza. Senza aggiungere brevi e vuote parole sulla tragedia di quanto è avvenuto durante la seconda guerra mondiale e che porta il nome di Shoà, ci limiteremo a ricordare come la follia delle leggi razziali abbia allontanato dal campo della psicologia alcune delle menti più brillanti che avevano su di loro sia l’onta di esser ebrei che di esser pensatori liberi. Da un lato i paladini della nascente psicologia sperimentale italiana erano nella gran parte ebrei che subirono in forme diverse la gogna razziale e culturale: Enzo Bonaventura (1981-1948), Vittorio Benussi (1878-1927), Cesare Musatti (1897-1989). Dall’altro la psicoanalisi, che rappresentava all’epoca la frontiera della psicologia clinica e che era avversata dal governo e dalla cultura fascista, fu introdotta e sostenuta in Italia da pensatori ebrei quali Edoardo Weiss (1889-1970) e Marco Levi-Bianchini (1875-1961).

Così al termine della tragica e devastante stagione dei fascismi, la psicologia italiana si trovò a dover riprendere un percorso che nel resto del mondo si intesseva già con la storia della scienza (Baker & Ludy, 2000) e che definiva il suo sapere clinico a partire dagli sviluppi della psicoanalisi (Greenwood, 2015). Ricordando ancora una volta come l’assoggettarsi ad assolutismi immutabili e incontestabili porti a costi e barbarie senza fine. Perchè, come era solito ricordare Viktor Frankl, un grande psicologo ebreo sopravvissuto ai campi di sterminio, l’essere umano è un essere che decide sempre ciò che è.

 

Lo Staff di Tages Onlus

 

Bibliografia

Amaldi, E, & Zevi T. (1989). Conseguenze Culturali delle Leggi Razziali in Italia. Convegno linceo (Roma, 11 maggio 1989). Retrieved from: http://www.lincei.it/modules.php?name=Content&pa=showpage&pid=200

Baker, D. B. &  Ludy, B.T. (2000). The Affirmation of the Scientists-Practitioner: a Look Back at Boulder. American Psychologist. 55 (2): 241–247.

Bannister D.D. & Fransella, F. (1971). The Inquiring Man. The Psychology of Personal Construct. Harmondsworth: Penguin Book.

Cimino, G. & Dazzi, N. (1998). La Psicologia Italiana. I protagonisti e i Problem Scientifici, Filosofici e Istituzionali (1870-1945). Milano: LED.

Ferruzzi, F. (1998). La crisi della psicologia italiana. In G. Cimino & N. Dazzi (Eds.), . La Psicologia Italiana. I protagonisti e i Problem Scientifici, filosofici e Istituzionali (1870-1945). Milano: LED.

Garber, Z. (2008). The Impact of the Holocaust in America: The Jewish Role in American Life. West Lafayette, IN: Purdue University Press.

Greenwood, J. D. (2015). A Conceptual History of Psychology. Exploring the Tangled Web. Second Edition. Cambridge, UK: Cambridge University Press.

Lacoue-Labarthe, P. & Nancy, J.L. (1992). Il Mito Nazi. Genova: Il Merangolo.

Luccio, R. (2013). Storia della Psicologia. Un’Introduzione. Bari: Laterza.

Marhaba. S. (2003). Lineamenti della Psicologia Italiana (1870-1945). Seconda Edizione. Firenze: Giunti.

Mecacci, L. (1999). Storia della Psicologia del Novecento. Decima Edizione. Bari: Laterza.

Nolte, E. (1971). I Tre Volti del Fascismo. Milano: Arnoldo Mondadori.

Tages Onlus (2017). Razzismo e Pregiudizi Possono Diventar Patologici? [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/05/07/razzismo-e-pregiudizi-possono-diventar-patologici/

Tarquini, A. (2016). Gentile e Mussolini. In Enciclopedia Treccani. Retrieved from: http://www.treccani.it/enciclopedia/gentile-e-mussolini_%28Croce-e-Gentile%29/

 

 

*Pur non essendo personalmente ebreo, Enrico Fermi abbandonò l’Italia a causa delle leggi razziali per aver sposato una donna ebrea.

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