GLI “ULISSE” DEI GIORNI NOSTRI: MIGRANTI E SALUTE MENTALE

Citazione consigliata: Agrusti, G. (2018). Gli “Ulisse” dei giorni nostri: migranti e salute mentale [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2018/04/30/gli-ulisse-dei-giorni-nostri-migranti-e-salute-mentale

“Il mio nome è Nessuno; e Nessuno mi chiama mia madre e mio padre, e così mi chiamano tutti i compagni”, così si fa chiamare Ulisse nell’antro di Polifemo. Immaginiamo di vederlo intraprendere il suo famoso viaggio raccontato nell’Odissea ai giorni nostri, si ritroverebbe a navigare per un Mediterraneo trafficato, avendo come compagni quei 204 719 migranti che nel 2017 (Frontex, 2018), per i motivi più disparati, hanno dovuto lasciare il proprio Paese d’origine per raggiungere una nuova terra. Al momento dell’arrivo nel nuovo Paese, verrebbe definito in maniera generica migrante, così come tutti gli altri viaggiatori, poiché si tratta di arrivi di massa, che avvengono tramite i trafficanti di esseri umani, anche se “sulle rotte dei quali – come è noto – si raccolgono persone con le nazionalità e le storie più disparate alle spalle” (Aleni, 2011). Avrebbe la sensazione di sentirsi davvero “nessuno”, di non essere più considerato come persona ma collegato semplicemente alla visione che si ha del flusso migratorio, ossia di un processo di spostamento di una massa indefinita di individui, dimenticando che i migranti, sono soggetti che hanno vissuto sulla propria pelle un groviglio di traumi, passando attraverso le zone di guerra, i campi di detenzione, le barche di fortuna e così via (Cheli, 2016). Ma ci siamo mai chiesti chi siano i migranti? Cosa rappresenta la migrazione e che implicazioni essa ha sulla psiche del migrante?

La migrazione di per sé è un evento ad alta intensità emotiva, che ha un impatto notevole sull’attività psichica dei soggetto, un fenomeno simile a un trauma che, se ben superato, può portare a una crescita positiva della persona, ma che richiede un cospicuo impiego di risorse (Caritas Italiana, et al., 2016). Essa rappresenta un fenomeno in cui un gran numero di persone fugge per salvare le proprie vite. Molti lasciano la propria terra a causa di conflitti, molti di loro possono aver assistito a diverse atrocità o essere stati loro stessi vittime di queste atrocità. Tutti hanno persone case, amici e vicini di casa. Sono fuggiti da una situazione critica, hanno sopportato un viaggio, che di per sé è stato un evento traumatico, e ora devono affrontare un nuovo tipo di vita e recuperare le energie per ricominciare (Medici Senza Frontiere, 1997). Ovviamente, non tutti i migranti sperimentano o rispondono allo stress nella stessa maniera. La prevalenza di specifici problemi di salute mentale è influenzata: (i) dalla natura stessa dell’esperienza migratoria; (ii) dalle caratteristiche individuali del migrante, ossia possedere o meno la capacità di mentalizzare, saper costruire relazioni positive, avere buone strategie di coping e avere la solidità o la flessibilità della propria identità culturale; (iii) dal supporto sociale efficace, inteso come “la condizione di accoglienza in grado di sostenere l’individuo sia nei suoi bisogni emotivo-relazionali sia in quelli materiali, aiutandolo nella realizzazione del progetto migratorio e favorendone l’integrazione sociale e psicologica” (Caritas Italiana, et al., 2016). Esistono sottopopolazioni di migranti che presentano fattori di rischio aggiuntivi rispetto ad altri.

Le donne che sono fuggite dal proprio paese d’origine a causa di minacce per la propria vita (possibile esposizione a diverse forme di violenza – sessuale, domestica, di genere, politica) hanno maggiori probabilità di riportare sintomi depressivi e di ansia. Negli uomini, invece, il livello di sintomi ansiosi e depressivi è maggiore quando non si possiedono i documenti per poter vivere nel Paese d’ingresso. Questi sintomi possono derivare dal timore di essere arrestati dalla polizia con conseguente deportazione e fallimento dello sforzo migratorio (Pannetier, et al., 2017).

Gli adolescenti e i bambini che migrano hanno un alto rischio di disturbi psicopatologici, tra cui il PTSD, la depressione, il disturbo della condotta e problemi relativi ad abuso di sostanze. Nella fase di post migrazione si riscontrano alti livelli di stress dovuti alla nuova lingua da imparare, alla negoziazione della propria identità culturale, all’isolamento sociale, al razzismo, al pregiudizio e alla discriminazione. (Kirmayer, et al., 2011).

Tra tutte le subpopolazioni di migranti i richiedenti asilo e i rifugiati risultano essere i più vulnerabili alla malattia fisica e mentale. È dimostrato che i segni e i sintomi psico-sociali più comuni che si possono osservare nei migranti di diverse culture includono sintomi ansiosi, sintomi depressivi, pensieri e tentativi di suicidio, rabbia, aggressività e comportamento violento, abuso di droghe e di alcol, paranoia, sospetto e sfiducia, manifestazioni somatiche, insonnia. Tutti questi sintomi psico-sociali, soprattutto per quanto riguarda le esperienze depressive causate da eventi traumatici plurimi, possono essere fattori di rischio per una sindrome specifica, conosciuta come disturbo post-traumatico da stress, PTSD (Medici Senza Frontiere, 1997).

È importante fare una distinzione tra problemi psico-sociali e psicopatologia. In tutte le popolazioni, ci sono pazienti psichiatrici che hanno sintomi psicopatologici, ma l’intervento psico-sociale non è diretto nello specifico a questo gruppo di persone ma alla popolazione in generale per implementare fattori protettivi.

Prima di costruire qualsiasi tipo di intervento, è importante considerare il contesto socio-culturale, poiché la cultura può influenzare profondamente ogni aspetto della malattia e dell’adattamento ad essa, comprese le interpretazioni e le reazioni ai sintomi. Inoltre, essa può influenzare i modelli di coping, di ricerca di aiuto, di aderenza al trattamento, gli stili di espressione emozionale e la comunicazione, nonché le relazioni tra pazienti, le loro famiglie e gli operatori sanitari (Kirmayer, et al., 2011).

Gli obiettivi di un intervento psico-sociale sono utili: (i) per offrire supporto alle persone che non riescono ad elaborare le proprie esperienze traumatiche o i propri problemi psico-sociali (Tages Onlus, 2017); (ii) per evitare che i problemi psico-sociali vengano trattati come problemi medici; (iii) per prevenire lo sviluppo di psicopatologie.

Nella prima fase di emergenza, i migranti utilizzano tutte le strategie di coping in loro possesso per sopravvivere. In questa fase, l’essenza dell’intervento psico-sociale è una mobilitazione sociale che rinforzi le strategie di coping di individui e famiglie per far fronte agli eventi. In una seconda fase, quando la maggior parte della comunità si è stabilizzata, ci sarà un piccolo sottogruppo di loro che mostrerà persistenti problemi emotivi o psicopatologie come effetto a lungo termine delle esperienze traumatiche. In questo momento, è richiesto un approccio terapeutico. (Medici Senza Frontiere, 1997). Attuare una psicoterapia sui migranti è un approccio che deve tenere conto: (i) del background culturale della persona; (ii) delle esperienze di razzismo, dei vari traumi, della condizione di guerra e povertà del proprio Paese d’origine; (iii) del sistema di credenze e di costruzione di senso dei sintomi; (iv) dei diversi livelli di competenza linguistica e di acculturazione (Bhurga, et al., 2011). Per poter ovviare ai problemi dovuti alla comunicazione e alla narrazione dei sintomi si può richiedere l’aiuto di interpreti o mediatori culturali, in modo da rende la psicoterapia più efficace e rendere il migrante più collaborativo (Kirmayer, et al., 2011).

In conclusione, è chiaro che la migrazione è un evento complesso che può essere vissuto in maniera traumatica. Lo scenario attuale richiede complessità di analisi e di intervento. È necessario, quindi, che i Paesi ospitanti trovino soluzioni pratiche ad un tema così controverso, che guardino con realismo alla situazione attuale in modo tale da accrescere le competenze del sistema di accoglienza poiché come generalmente accade, affrontare le difficoltà si dimostra fondamentale per un processo di maturazione complessiva, che riguardi tutto il paese nel suo complesso. Per far sì che questo processo di maturazione si attui, è importante muoversi in un’ottica di integrazione a due vie: da un lato gli Stati europei devono riconoscere i diritti e permettere l’integrazione dei migranti, dall’altro lato gli stessi migranti devono integrarsi e rispettare i Paesi che li ospitano (European Migration Forum, 2018).

Concluderei con un spunto di riflessione: attuare questo processo di integrazione a due vie risulta esattamente tanto difficile? Il comune belga di Mechelen la pensa in maniera nettamente differente. Nel corso degli ultimi 10 anni in questo comune si è passati da una percezione di criminalità ed “invasione islamica” a un benessere civico ed economico. Il sindaco Bart Somers afferma che la soluzione per l’integrazione si è trovata: (i) puntando sulla sicurezza come fondamento dell’integrazione; (ii) favorendo una nuova narrativa con l’inserimento nel folklore locale quello di tutte le comunità presenti; (iii) evitando di creare isole mono-culturali e mono-etniche; (iv) puntando sulla dimensione valoriale e sul riappropriarsi della narrazione dei valori occidentali, simbolo di libertà e integrazione (Tages Onlus, 2017).

 

Dott. Giuseppe Agrusti

Tirocinante presso Tages Onlus

 

Bibliografia

 

  • Aleni, L. (2011). Migranti e tutela dei diritti fondamentali: poche luci e molte ombre. Il Mulino – Rivisteweb, 2, 69-83.
  • Bhurga, D., Gupta, S., Bhui, K., Craig, T., Dogra, N., Ingleby, J. D., Kirkbride, J., Moussaoui, D., Nazroo, J., Qureshi, A., Stompe, T., & Tribe, R. (2011). WPA guidance on mental health and mental healt care in migrants. World Psychiatry, 10, 2-10.
  • Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, ANCI, Cittalia, , Servizio centrale dello SPRAR, & UNHCR (2016). Rapporto sulla Protezione Internazionale in Italia. Retrieved from: https://s2ew.caritasitaliana.it/materiali///Pubblicazioni/libri_2016/Rapporto_Protezione_2016/Rapporto_protezione_internazionale_2016.pdf
  • Cheli, S. (2017). Trauma entanglement in migrant crisis tentative tips to face the EU Cartesian anxiety. ETSD Newsletters, 6 (3), 6-9.
  • European Migration Forum (2018). 4th meeting of the European Migration Forum. Towards a more Inclusive Labour Marker for Migrants: Seizing the Potential by Addressing the Challenges. Retrieved from: https://www.eesc.europa.eu/en/agenda/our-events/ev/european-migration-forum-4th-meeting
  • Frontex (2018). Risk Analysis for 2018. Retrieved from: https://frontex.europa.eu/pubblications/risk-analysis-for-2018-aJ5nJu
  • Kirkmayer, L. J., Narasiah, L, Munoz, M., Rashid, M., Ryder, A. G., Guzder, J., Hassan, G., Rousseau, C., & Pottie, K. (2011). Common mental health problems in immigrants and refugees : general approach in primary care. CMAJ, 183(12), E959-E967.
  • Medici Senza Frontiere (1997). Refugee health – an approach to emergency situations. Londra: MacMillan Educational Ltd.
  • Pannetier, J., Lert, F., Roustide, M. J., & Degrées du Lôu, A. (2017). Mental healt of sub-saharan african migrants : The gendered role of migration paths and transnational ties. SSM – Population Health, 3, 549-557.
  • Quasimodo, S. (1951). Traduzioni dall’ODISSEA. Milano: Mondadori.
  • Tages Onlus (2017). I Nostri Reportage: European Migration Forum [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/03/04/i-nostri-reportage-european-migration-forum/
  • Tages Onlus (2017). Razzismo e Pregiudizi Possono Diventar Patologici? [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2017/05/07/razzismo-e-pregiudizi-possono-diventar-patologici/

 

 

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