Il lato oscuro della gentilezza
Citazione consigliata: Cheli, S.. (2019). Il lato oscuro della gentilezza [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2019/03/16/il-lato-oscuro-della-gentilezza/
Capita a volte che persone con una narrazione di sè caratterizzata da cordialità, attenzione all’altro e alle convenzioni sociali, mostrino, in determinate situazioni, comportamenti assai discrepanti. Come se esistesse una sorta di lato oscuro della prosocialità che sfugge alla nostra attenzione e che, quando emerge, appare assai dirompente ed incontrollabile.
Una signora sessantenne di un’estrema gentilezza si presentò al mio studio riportando come problematica l’essersi trovata a rispondere al saluto di una conoscente con un’imprecazione ed il gesto dell’ombrello. La signora che soddisfaceva contemporaneamente i criteri per un disturbo ossessivo-compulsivo e dipendente di personalità (ovvero mostrava tratti di rigidità perfezionistica e di bisogno eccessivo nel far affidamento agli altri) riportava una storia di vita caratterizzata dalla continua e costante attenzione ai bisogni altrui e alle regole socialmente definite e personalmente riconosciute. All’interno della sua famiglia aveva sempre assunto nei confronti della madre, delle sorelle, dell’ex-marito, delle nipoti etc., il ruolo dell’accuditrice che senza dubbio alcuno e con estrema convinzione impersonificava. Conseguentemente ad un comportamento oggettivamente improprio e irrispettoso da parte del chirurgo che l’aveva operata per una recidiva oncologica e alla continua ed incurante mancanza di attenzione da parte di molti familiari, la signora si ritrovò ad agire quel comportamento così inappropriato ed egodistonico. Ed a ripetere simili comportamenti in forme diverse e con diverse persone.
Come ci possiamo spiegare azioni così dissonanti e così incontrollate per una persona che vi assicuro mostrava verbalmente e non verbalmente una gentilezza ed una cordialità assai rara?
Evoluzionismo, Prosocialità e Cambiamenti per Polo di Contrasto
Uno dei bizzarri e prolifici presupposti dell’evoluzionismo è che ogni funzione o struttura perdura nel tempo perchè aveva o ha un vantaggio evolutivo, oppure perchè era o è un costo sostenibile connesso ad un altro vantaggio evolutivo (Brüne, 2008). E questo dunque vale tanto per la sessualità (cosa che appare chiara ed evidente) quanto per la psicopatologia (e qui le cose iniziano a complicarsi). Si presuppone infatti che la psicopatologia abbia un ruolo attivo nella storia della nostra specie e pertanto le strutture di personalità sia sane che patologiche perdurino nel tempo solo grazie al loro concorrere in forme diverse al perdurare di Homo Sapiens Sapiens (Fabrega, 2002). Paul Gilbert, uno dei massimi interpreti della psicologia evoluzionista, ha ampiamente argomentato come “altruismo e moralità sono mediatori importanti dei comportamenti cooperativi e riflettono l’attivazione e l’articolazione di vari sistemi di costrutti per interazioni valutative tra noi stessi e gli altri” (Gilbert, 1989, p. 211). Ovvero la prosocialità che sta alla base dell’evoluzione dell’uomo e del suo cervello si fonda sulla presenza di altruismo e moralità i cui vantaggi adattativi sono innegabili e tali da poter compensare vari effetti o costi collaterali. Sentimenti come la colpa e la vergogna, dimensioni come il perfezionismo e l’autocritica in quest’ottica assumono dunque un ruolo assai diverso connesso alla necessità per la nostra specie di mantenere meccanismi prosociali di auto- ed etero-regolazione. Al contempo, “per essere socialmene adattativi dobbiamo essere in grado di costruire e rompere relazioni” (Gilbert, 1989, p. 253) e quindi di usare questi processi di regolazione integrando tutte le complesse esigenze della nostra vita.
Ma cosa succede quando una persona sviluppa un funzionamento di personalità in cui le dimensioni prosociali raggiungono un livello eccessivo di rigidità e pervasività? Cosa succede quando la mia innata propensione agli altri ed al rispetto delle regole sociali, che magari per anni ed in contesti diversi è stata fortemente rinforzata e validata, diviene così immodificabile da mettere a rischio alcune mie motivazioni primarie o anche relazioni importanti a cui tante risorse ho dedicato?
George Kellly (1969, p. 199), padre della psicologia costruttivista, definiva come primo livello di cambiamento quello per polo di contrasto (lett. slot-rattling change, con riferimento al movimento della leva delle slot machine) in cui le persone cercano un’alternativa all’interno delle premesse iniziali del loro agire muovendosi appunto per contrasti o polarità (educato vs maleducato; gentile vs rude; etc.). Ed il più comune di questi cambiamenti lo sperimentiamo nella dinamica ‘dipendenza vs indipendenza’ all’interno delle nostre relazioni più significative e spesso anche nella relazione terapeutica. Il dramma di simili processi è che, volenti o nolenti, non usciremo mai dalla dimensione relazionale della nostra esperienza e quindi la via d’uscita da un simile dilemma risiede nel riconoscere l’interdipendenza come condizione fondante dell’essere uomini (Bornstein, & Languirand 2003). Ma se pensiamo ad una persona come la signora sopra descritta, che sente di confrontarsi con una storia di disconoscimenti del suo investimento interpersonale a fronte di una condizione di stress rilevante, possiamo capire come un movimento per polo di constrasto sia un primo tentativo di uscire da una simile empasse.
Dipendenza, Perfezionismo e Narcisismo
Non dovrebbe forse stupire che la paziente mi sia stata presentata con un’errata diagnosi di disturbo borderline di personalità. Tralasciado la reiterata abitudine di confondere la presenza di una disregolazione emotiva con la diagnosi borderline, possiamo concedere a chi ha formulato questa ipotesi diagnostica che la rabbiosa e risentita reattività della signora risultasse assai confondente. Al contempo colui che è considerato il massimo esperto mondiale del disturbo dipendente di personalità, Robert F. Bornstein, ha chiaramente indicato come uno dei segnali tipici di una iperdipendenza distruttiva quello che lui chiama il “creeping resentment” (Bornstein, & Languirand, 2003, p. 60), ovvero un risentimento insidioso che spesso sfocia in vera e funesta rabbia quando la persona sente non riconosciute le sue attenzioni all’altro (per quanto spesso non richieste!). Se poi associamo alla dipendenza una componente perfezionistica (tipica del disturbo ossessivo-compulsivo di personalità), in cui la violazione reiterata del valore come definito dalla persona risveglia un’indignata disapprovazione, la rabbia può divenire incontrollabile. Questa intersezione tra dipendenza e perfezionismo possiamo riscontrarla in molte persone, se consideriamo soprattutto l’origine evoluzionistica di altruismo e moralità sopra descritta e quindi il costante rinforzo e la validazione sociale di simili schemi interpersonali a discapito del costo per chi gli vive quotidianamente. Ed al contempo, il perfezionismo, visto attraverso la lente dei bisogni psicologici insoddisfatti della persona e il suo costante oscillare tra richieste interpersonali ed auto-prescritte spinge spesso verso forme di disconnessione sociale e di autarchia (Hewitt, Flett & Mikail, 2017) che posso generare una dolorosa solitudine ed una incontrollabile ostilità.
Senza scomodare ulteriori categorie diagnostiche, possiamo poi riconoscere come non sia infrequente che simili dinamiche manifestino anche una sorta di nucleo o risposta difensiva ‘ultima’ su base narcisistica. Da un lato, quel che stiamo descrivendo facilmente richiama a schemi legati al blocco dell’autonomia e al valore personale tipici del narcisismo che ingerano una costante ambivalenza rispetto alla propria agency e alla relazione con l’altro (Dimaggio, 2016, pp. 47-54). Dall’altro non possiamo non riconoscere un’ulteriore trait d’union nella costante incapacità nell’accedere ai desideri che “impedisce di vivere in sintonia con il corpo e con piani di vita marcati da emozioni genuine, perseguiti per consonanza con le proprie attitudini” (Dimaggio, Fiore, Petrilli & Mancioppi, 2003, p. 202), ingenerando sentimenti incontrollati di rabbia e disprezzo.
Alla base di tutte queste formuazioni teoriche troviamo persone che sovente hanno mostrato sin dalla prima infanzia esperienze traumatiche o di povertà relazionale a cui hanno dovuto far fronte con due inestricabili strategie: (i) una di inversione dell’attaccamento al fine di mantenere una qualche forma di sicurezza relazionale; (ii) una di ritiro sociale e regole auto-prescritte al fine di mantere una continuità di senso a prescindere da quanto accadeva attorno a loro.
Il Lato Nascosto della Triade Oscura
Siamo così abituati dal (o meglio forzati evoluzionisticamente a) collocare mentalmente perfezionismo e dipendenza in un contesto di gentilezza, che alcuni degli studi sulla triade oscura (i.e. machiavellismo, narcisismo e psicopatia) possono stupirci se non sconvolgerci. Se ad esempio osservate l’indice del testo di riferimento pubblicatto dall’American Psychological Association (Zeigler-Hill & Marcus, 2016), tre titoli attireranno la vostra attenzione. Il primo riguarda un tema denominato spite (lett. ripicca, dispetto) che Milan Kundera superbamente descrisse riferendosi ad un costrutto emotivo cecoslovacco: litost, termine intraducibile che l’autore spiega illustrando la storia di un bambino vessato dal maestro che si lascia cadere dalla finestra della classe e mentre cade, pur sapendo di andare incontro alla sua fine, si compiace perchè la colpa ricadrà sul maestro infame (Kundera, 2001, p.273). Per quanto bizzarro sembri molti esempi di comportamenti antisociali, aggressivi e sadici sono riconducibili a questa sorta di ripicca in cui i costi psicologici, relazionali e non solo, non vengono minimamente presi in considerazione nella ricerca di riparare ad un torto presunto o reale (Marcus & Norris, 2016). Il secondo capitolo si riferisce invece alla distruttività interpersonale del perfezionismo che sembrerebbe alimentare forme specifiche di rabbia, ostilità fino a rilevare un’associazione con le tre componenti della triade oscura, ovvero machiavellismo, narcisismo e psicopatia (Flett, Hewitt & Sherry, 2016). Scopriamo addirittura che Theodor Kaczynski, il tristemente noto Unabomber, è considerato il classico esempio di questa manifestazione psicopatologica su base perfezionistica. Infine, nel parlare di dipendenza interpersonale, Bornstein (2016) apre il suo saggio descrivendo un efferato caso di infanticidio perpetrato dalla matrigna che risultò affetta da disturbo dipendente di personalità. Quel che stupisce è la motivazione di tale gesto descritto dall’omicida (e riconosciuto dalla corte) che si dichiarò “incapace di resistere alle richieste del marito di punire severamente il figliastro per varie trasgressioni, reali o immaginarie” (Bornstein, 2016, p. 341).
Conclusioni
Se dopo questo paragrafo state guardando con sospetto e crescente paranoia vostra moglie o il vicino di casa che sorride curando il giardino, respirate! Manifestazioni così efferate rappresentano casi assai rari che ritroveremo nei testi specialistici più che nella nostra vita personale o professionale. Di maggiore interesse è invece il riconoscere come pressioni selettive, stili di attaccamento e caratteristiche personali possano spingerci a sostenere dei costi psicologici enormi. Così gravosi da porci a volte di fronte ad alternative paradossali per l’immagine che noi abbiamo e gli altri hanno di noi stessi. Nel bene e nel male siamo animali inter-dipendenti che devono ogni giorno trovare una quadra tra i loro e gli altrui bisogni psicologici. “Una dipendenza sana è un viaggio lungo una vita, un processo in fieri che si svolge nel corso degli anni. Nella misura in cui cambi e cresci, le strategie che usi per costruire le tue abilità di dipendenza sana sono come la vita stessa: mai statiche e sempre mutevoli” (Bornstein & Languirand, 2003, p. 237).
Simone Cheli
Presidente di Tages Onlus
Bibliografia
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Bornstein, R.F., & Languirand, M.A (2003). Healthy Dependency. Learning on Others Without Losing Yourself. New York: Newmarket Press.
Brüne, M. (2008). Textbook of Evolutionary Psychiatry: The Origins of Psychopathology. Oxford: Oxford Univeristy Press.
Dimaggio, G. (2016). L’Illusione del Narcisista. La Malattia della Grande Vita. Milano: Baldini & Castoldi.
Dimaggio, G., Fiore, D., Petrilli, D., & Mancioppi, S. (2003). La psicoterapia della personalità narcisistica. In G. Dimaggio & A. Semerari (Eds.), I Disturbi di Personalità. Modelli e Trattamento. Stati Mentali, Metarappresentazioni, Cicli Intepersonali, (pp.201-239). Bari: Editori Laterza.
Fabrega H. Jr (2002). Origins of Psychopathology: The Phylogenetic and Cultural Basis of Mental Illness. New Brunswick: Rutgers University Press.
Flett, G.L., Hewitt, P.L., & Sherry, S.S. (2016). Deep, dark, dysfunctional: the destructiveness of interpersonal perfectionism. In V. Zeigler-Hill & D.K. Marcus (Eds.), The Dark Side of Personality. Science, Pracitce in Social, Personality, and Clinical Psychology, (pp. 211-230). Washington: America Psychological Association.
Gilbert, P.(1989). Human Nature and Suffering. London: Lawrence Erlbaum Associated.
Hewitt, P.L., Flett, G.L., & Mikail, S.F. (2017). Perfectionism. A Relational Approach to Conceptualization, Assessment, and Treatment. New York: The Guildford Press.
Kelly, G.A. (1969). In whom confide: on whom depend for what. In B. Maher (Ed.), Clinical Psychology and Personality. The Selecte Papers of George Kelly (pp.189-206). New York: Wiley & Sons.
Kundera, M. (2001). Il Libro del Riso e dell’Oblio. Milano: Adelphi.
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Zeigler-Hill, V., & Marcus, D.K.. The Dark Side of Personality. Science, Pracitce in Social, Personality, and Clinical Psychology. Washington: America Psychological Association
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