DONNE VITTIME DELLA TRATTA DI ESSERI UMANI E SALUTE MENTALE

Citazione consigliata: Agrusti, G. (2019). Donne vittime della tratta di essere umani e salute mentale. [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2019/05/12/donne-vittime-della-tratta-di-esseri-umani-e-salute-mentale

 

“Sento che hanno preso il mio sorriso e non potrò mai più riaverlo.”

 

“[Sono] spaventata senza motivo. […] Il mio umore cambia continuamente. Non riesco a controllare la mia mente.”

 

Queste testimonianze riassumono meglio di qualsiasi definizione cosa significhi essere vittima della tratta di esseri umani. Tali testimonianze sono collegate da un file rouge di violenza, sofferenza e trauma. Lo scopo di questo articolo è quello di capire meglio cos’è la tratta di esseri umani; quali conseguenze sulla salute comporta essere vittime di tale fenomeno e e qual è il ruolo degli psicologi e, in generale, degli operatori sanitari.

 

La tratta di esseri umani è un crimine grave, oltre che una grave violazione dei diritti umani (ONU, 2014). L’Ufficio dell’ONU sulle droghe e sul crimine (UNODC) definisce la tratta di esseri umani come “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggiamento o l’accoglienza di persone con la minaccia di ricorrere alla forza, o con l’uso effettivo della forza o di altre forme di coercizione, mediante il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di autorità o una situazione di vulnerabilità, o con l’offerta o l’accettazione di pagamenti o di vantaggi al fine di ottenere il consenso di una persona avente autorità su di un’altra ai fini dello sfruttamento. Lo sfruttamento include, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione di altre persone, o altre forme di sfruttamento sessuale, lavori o servizi forzati, schiavismo o prassi affini allo schiavismo, servitù o prelievo di organi” (articolo 3 del Protocol to Prevent, Suppress and Punish Trafficking in Persons, Especially Women and Children, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime; 2004).

 

Tale fenomeno colpisce quasi tutti i paesi del mondo, in qualità di paese di origine, di transito o di destinazione delle vittime. Dai dati del Global Report on Trafficking in Persons del 2018 si può osservare che su 26750 vittime della tratta, oltre il 70% è di sesso femminile. Tale report evidenzia, inoltre, che la tratta per sfruttamento sessuale è la forma di sfruttamento più rilevata a livello globale. Le vittime di tale tipologia di sfruttamento sono maggiormente donne: circa il 70% donne adulte e quasi il 30% ragazze minorenni.

 

La tratta di esseri umani è un crimine internazionale noto per le forme estreme di violenza. Sebbene la violenza legata al traffico di esseri umani sia stata ben documentata, la salute delle persone trafficate è un argomento non ampiamente studiato. Per tale motivo, Zimmerman et al. (2007; 2011) propongono due modelli che offrono un quadro specifico per esaminare la salute delle donne nel contesto della tratta. Il Modello delle Fasi della Tratta di esseri umani, evidenziando gli aspetti diacronici, sincronici e geografici del processo, delinea i diversi contesti di rischio, suggerisce la natura cumulativa del rischio di conseguenze negative sulla salute dell’individuo e indica i potenziali spunti per la costruzione di un piano d’intervento adeguato.

 

Il modello consta di sei fasi interdipendenti: reclutamento, viaggio-transito, sfruttamento, integrazione o re-integrazione, e per alcuni, detenzione e re-trafficking. Il secondo, denominato Abusi correlati alla tratta, Rischi e Conseguenze per la salute, illustra le varie dimensioni della salute e i possibili fattori di rischio e conseguenze che possono verificarsi in ogni fase della tratta, come descritte nel primo modello, al fine di evidenziare potenziali aree di salute a rischio e le possibili necessità delle vittime. La presenza di varie forme di abuso (fisico, sessuale e psicologico), oltre che la lotta per la sopravvivenza in condizioni estreme e pericolose sono elementi tipici della tratta di esseri umani.

 

Varie ricerche mostrano che le donne vittime della tratta esperiscano molti sintomi riportati da coloro che hanno subito torture, come reazioni psicosomatiche, reazioni psicologiche, abuso di sostanze psicoattive e dipendenza, aggressività e ostilità e conseguenze psicofisiche di malattie sessualmente trasmissibili (Yakushko, 2009). Il trauma vissuto dalle vittime della tratta include ansia, depressione, alienazione, disorientamento, aggressività, ostilità, ideazione suicidaria, deficit di attenzione e disturbo da stress post-traumatico (PTSD; Iglesias-Rios et al., 2018; Okeck et al., 2018; Oram et al., 2016; Rimal et al., 2016; Kiss et al., 2015; Abas et al., 2013; Ostrovschi et al., 2011; Hossain et al., 2010; Tsutsumi et al., 2008).

 

La salute mentale è forse la dimensione sanitaria più dominante nei casi di tratta di esseri umani a causa del profondo danno psicologico causato dai vari eventi traumatici e dai comuni disturbi somatici che spesso si traducono in dolore o disfunzione fisica. Tra i sintomi maggiormente rilevati, come si può notare dalla review di Ottisova et al. (2016), vi è la depressione, il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e l’ansia. Pochi studi analizzano altri aspetti, quali l’ostilità, l’ideazione suicidaria. Ad esempio, la depressione viene spesso rilevata tra coloro che sono state abusate sessualmente. Lo studio condotto da Zimmerman et al. nel 2008 mostra che quasi il 40% delle donne vittime della tratta ha avuto dei pensieri suicidari e che circa il 60% ha probabilmente un disturbo post-traumatico da stress (PTSD).

 

Uno studio condotto da Gray et al. (2012) mostra che più del 60% delle partecipanti riscontra un distress psicologico indicativo dei disturbi d’ansia e depressivi. Uno studio condotto da Cwikel et al. (2004) su una popolazione femminile rileva che nelle donne vittime della tratta di persone la percentuale dei sintomi depressivi è del 60% circa, quasi il doppio rispetto alla prevalenza riscontrata nel campione di controllo.

 

Uno studio condotto da Turner-Moss et al. (2014) rileva che non vi è molta differenza nell’esperire sintomi depressivi e/o ansiosi. Per quanto concerne l’ostilità, lo studio precedente citato della Zimmerman et al. (2008) mostra che nel campione femminile preso in esame vi è un elevato tasso di ostilità e comportamento aggressivo nella fase risolutiva della tratta. In generale, i sintomi di salute mentale riscontrati in questa popolazione sono simili a quelli documentati per gli individui esposti a traumi ripetitivi o ad abusi cronici.

 

I trafficanti spesso affermano il loro controllo sulle vittime utilizzando tecniche di coercizione e minacce; in genere, utilizzano varie forme di violenza interpersonale (sessuale, psicologica o fisica), e spesso si affidano a particolari vulnerabilità del soggetto, come l’età e il sesso della vittima. Inoltre, ad impattare la salute fisica e mentale delle vittime della tratta ci sono anche le condizioni di vita con profonde restrizioni sui bisogni umani fondamentali, come cibo, acqua e rifugio, durante la tratta e il fatto che gli individui non hanno nessuna possibilità di prevedere o controllare alcun aspetto della loro vita (Iglesias-Rios et al., 2018).

 

Judge et al. (2018) sottolineano che uno dei bisogni principali delle vittime della tratta di esseri umani è l’aiuto psicologico, vista la grande varietà di conseguenze psicologiche del trauma, quali rabbia, sfiducia, paura e vergogna, che si pongono come barriere per la richiesta di assistenza stessa. Molte delle linee guida presenti per l’assistenza alle vittime della tratta pur sottolineando l’importanza dell’assistenza psicologica si focalizzano principalmente sulle azioni legali, umanitarie e sociali che cercano di fornire alle vittime i bisogni di sussistenza, quali la sicurezza e il riparo, nonché fornire risorse legali ed economiche. Pertanto, sebbene la psicoterapia sia spesso evidenziata come fondamentale per la guarigione e l’integrazione delle vittime, sembra ricevere solo un’attenzione parziale e minima (Yakushko, 2009).

 

Esistono diverse aree chiave riguardo le conoscenze e le caratteristiche che gli psicologi che lavorano con le donne vittime della tratta devono possedere. Innanzitutto, è chiaro che devono essere formati nel lavorare con le vittime di traumi, in particolare traumi sessuali e interpersonali. A tal proposito è utile soffermarsi un attimo sulle linee guida redatte da Zimmerman et al. (2003) su come poter intervistare le donne vittime della tratta. Gli autori affermano che intervistare le donne vittime di tratta solleva problemi di natura etica e di sicurezza sia per l’intervistatore sia per la vittima stessa. Avvicinarsi alle donne vittime della tratta, far sì che esse si fidino, ottenere la loro cooperazione e acquisire delle risposte veritiere è difficile.

 

Per tal motivo, Zimmerman et al. (2003) hanno creato delle procedure etiche, un modo di approcciarsi in maniera sensibile e non giudicante, facendo sì che le donne vittime della tratta si sentano rispettate e che sentano che il loro benessere è posto in primo piano, per poter permettere ad esse di sentirsi libere di raccontare i propri vissuti e poter così creare un percorso adeguato di supporto psicosociale. In secondo luogo, sembra evidente che gli psicologi, e in generale gli operatori sanitari, debbano anche lavorare in team interdisciplinari, in particolare con le forze dell’ordine.

 

Gli psicologi che lavorano con le donne vittime della tratta devono avere una conoscenza generale delle attuali politiche sull’immigrazione. Devono collaborare con le diverse associazioni ed organizzazioni che sono in grado di fornire alle donne vittime della tratta l’accesso alle risorse di natura legale, economica e professionale (Yakushko, 2009). Infine, è probabile che il lavoro clinico con le vittime della tratta includa un approcciarsi a culture totalmente differenti. Pertanto, non solo gli psicologi dovrebbero possedere competenze multiculturali in generale, ma dovrebbero essere consapevoli della differenza che esiste nel fornire assistenza ai soggetti migranti (Bemak e Chung, 2002). Potrebbero, inoltre, avvalersi dell’aiuto di interpreti nella loro pratica clinica.

 

Bemak e Chung (2002) suggeriscono un modello multilivello di consulenza e psicoterapia che si concentra in particolare sui servizi di salute mentale con migranti e rifugiati, ma che può essere esteso anche alle donne vittime della tratta. Secondo gli autori, gli psicologi che lavorano con tali popolazioni devono possedere una serie di competenze, che sono radicate nell’empatia culturale. La consapevolezza culturale di questi professionisti della salute dovrebbe comprendere la diversità delle visioni del mondo, i processi familiari/comunitari/sociali e l’identità etnica.

 

Bemak e Chung (2002) evidenziano l’esigenza da parte degli psicologi di prestare attenzione alle particolari esperienze di vita di migranti, rifugiati e vittime della tratta, devono comprendere il loro background sociopolitico, le condizioni storiche, i traumi pre-migrazione, gli stressors passati/attuali, l’adattamento psicosociale, l’acculturazione, la concettualizzazione della malattia mentale, le visioni del mondo e le esperienze di discriminazione. Secondo gli autori, i servizi di supporto rivolti verso queste popolazioni dovrebbe includere una psico-educazione sulla salute mentale, la psicoterapia, l’empowerment culturale e l’integrazione dei metodi di guarigione indigeni e occidentali. Tali livelli dei servizi devono essere interconnessi e utilizzati contemporaneamente.

 

Un ultimo aspetto della pratica da tenere in considerazione è la psicoterapia centrata sul trauma e sul trattamento dei sintomi e dei disturbi associati alla tratta di esseri umani. È noto dalla letteratura esistente che tra le donne vittime della tratta vi sono alti tassi di sintomi ansiosi, di sintomi depressivi e di disturbo post-traumatico da stress (PTSD). Osservando i dati di una rassegna sistematica (Williamson et al., 2008) che analizza i trattamenti evidence-based su tali disturbi, si può affermare che l’evidenza empirica sul trattamento del PTSD evidenzia l’uso e l’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale, incorpora la ristrutturazione cognitiva con tecniche comportamentali, quali l’exposure therapy, l’arresto del pensiero e le tecniche di respirazione. Oltre alla terapia cognitivo- comportamentale, l’EMDR e la tecnica della stress inoculation sono entrambi risultati trattamenti efficaci per il trattamento di tale disturbo. La terapia cognitivo-comportamentale risulta essere efficace anche per i disturbi d’ansia e dell’umore. Per le persone che presentano disturbi d’ansia, la terapia comportamentale cognitiva che combina la psico-educazione con l’exposure therapy e la ristrutturazione cognitiva è particolarmente utile nell’aiutare i pazienti a rivalutare i pensieri automatici legati alle paure, in modo da eliminare i pensieri disfunzionali e creare nuovi quadri di interpretazione. Per quanto riguarda i disturbi dell’umore e, nello specifico, il disturbo depressivo maggiore, i trattamenti che sono risultati maggiormente efficaci comprendono la terapia cognitivo-comportamentale e la psicoterapia interpersonale (Williamson et al., 2008).

 

Si può concludere dicendo che l’assistenza sanitaria e l’assistenza psicologica siano delle componenti fondamentali nell’assistenza delle donne vittime della tratta di esseri umani. Tali donne possono trarre beneficio dall’accesso tempestivo ai servizi di salute. Inoltre, è importante che ci sia un supporto psicologico culturalmente e linguisticamente appropriato e che ci siano servizi adibiti a prendere provvedimenti riguardo la loro insicurezza economica, sociale e legale. È importante, inoltre, creare una rete di servizi che permetta di proteggere le donne vittime della tratta e i familiari e cari suscettibili anch’essi di minacce e di coercizione da parte dei trafficanti. Infine, è importante comprendere meglio come i complessi e gravi effetti delle forme di violenza e di coercizione impattano la salute mentale per poter costruire piani di assistenza adeguati per le donne vittime della tratta di esseri umani , linee guida standardizzate e validate, ma che permettano di avere un margine di libertà, data la vasta eterogeneità delle storie di vita e dei bisogni individuali di ogni singola donna vittima della tratta.

 

Dott.Giuseppe Agrusti

Tirocinante presso Tages Onlus

 

 

 

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