Report dal Training sulla Compassion Focused Therapy
Citazione Consigliata: Lo Sterzo, E. (2020). Report dal Training sulla Compassion Focused Therapy [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2020/01/20/report-cft
“Homo sum, humani nihil a me alienum puto”
Sono un essere umano, niente di ciò ch’è umano ritengo a me estraneo.
Terenzio
Dal 13 al 15 Dicembre a Torino la Dott.ssa Antonella D’Innocenzo di “Compassionate Mind Italia” ha tenuto il Corso Base di “Compassion Focused Therapy” (CFT), un approccio terapeutico afferente alla cosiddetta “Terza Ondata” della Psicoterapia Cognitiva, che è caratterizzata da una maggiore focalizzazione alla relazione e all’atteggiamento che il paziente ha nei confronti esperienza, piuttosto che al solo lavoro sul contenuto dei propri stati mentali (tramite ad esempio la ristrutturazione cognitiva).
La compassione secondo Paul Gilbert, fondatore della CFT, può essere definita “una particolare sensibilità alla sofferenza di sé stessi e degli altri, unita ad un forte desiderio e impegno ad alleviarla e prevenirla” (Gilbert, 2010). E’ interessante notare come questa definizione faccia riferimento sia ad una componente di consapevolezza e riconoscimento della propria ed altrui sofferenza, sia ad una componente intenzionale-motivazionale che porta ad attivarsi per ridurla. Tali sensibilità vengono considerate come “muscoli da allenare”, quindi non fattori che si possiedono o meno, ma che possono essere sviluppati in ognuno di noi.
La CFT si focalizza sull’aiutare i pazienti a relazionarsi alle proprie difficoltà in modo compassionevolo e sul fornire loro metodi efficaci per lavorare con emozioni e situazioni difficili, promuovendo un senso di comunanza e connessione con le altre persone anche basato sul riconoscimento e l’accettazione di un’analoga (e intrinseca) vulnerabilità.
Ma quale significato ha questa vulnerabilità? Tra i fattori di mantenimento della psicopatologia vi sono sicuramente le credenze secondarie che le persone sviluppano durante momenti di difficoltà psicologica: il pensiero “C’è qualcosa che non va in me”, e la tendenza a ruminare su tematiche di autocritica inducono emozioni di vergogna, tristezza, rabbia verso sé stessi che mettono la persona in uno stato di minaccia, stress e tendenza all’evitamento. Questa tendenza a dubitare di sé rappresenta una componente centrale della vulnerabilità che accomuna ognuno di noi.
Uno dei punti di partenza della CFT nel lavoro con i pazienti è proprio la psicoeducazione sul “cervello complicato”: il cervello è stato evolutivamente programmato per difenderci dalle minacce tramite la mobilitazione automatica di cascate di neurotrasmettitori e ormoni (come ad esempio il cortisolo), gruppi muscolari, emozioni e reazioni psicofisiologiche che preparano il corpo a fuggire repentinamente dal pericolo o prepararsi a combatterlo. Questo sistema di allerta/minaccia è il più “antico” e ha avuto innumerevoli vantaggi per la sopravvivenza degli individui. L’evoluzione della nostra specie è andata incontro all’incremento e al perfezionamento del lobo prefrontale, deputato al ragionamento, all’immaginazione, alla creazione di associazioni complesse, alle capacità previsionali ed alla metacognizione (intendendo qui in particolare la capacità di ragionare su sé stessi). Questa parte del cervello evolutivamente più “giovane” ha la possibilità di regolare l’attivazione del cervello più antico, e questo ha fatto sì che la reazione di attacco-fuga si instauri non solo davanti a minacce reali, ma anche davanti a pericoli immaginati o ricordati, e questo è proprio il meccanismo che può contribuire ai processi psicopatologici ansioso-depressivi. Pertanto, il cervello che ha consentito da un lato all’essere umano, ad esempio, di produrre l’arte e organizzarsi in società complesse, è lo stesso che può contribuire a “incastrarci” in meccanismi disfunzionali di ansia e autocritica. Da questa prospettiva, si può condurre il paziente a vedere il significato e la funzione “protettiva” di pensieri e azioni che danno sofferenza, riducendo in questo modo la tendenza alla colpevolizzazione.
La terapia CFT mira inoltre ad aiutare il paziente a scoprire, usando anche e soprattutto pratiche immaginative e di consapevolezza corporea, i principali sistemi emotivo-motivazionali che guidano i comportamenti, composti da emozioni e sensazioni tipiche, attivazioni psicofisiologiche, atteggiamenti e predisposizioni all’azione peculiari. Il sistema di difesa dalla minaccia, quello di esplorazione/ricerca di stimoli e quello di appagamento/rilassamento. Le emozioni che caratterizzano il primo sono ansia, rabbia, disgusto, nonché l’attivazione di uno stile attentivo e di ragionamento protettivo. Il secondo sistema è quello di ricerca degli stimoli, risorse e piacere, che ci motiva all’esplorazione allo scopo di raggiungere risultati, ed è caratterizzato da sensazioni di orgoglio, piacere, eccitamento. Nel terzo è presente uno stato di appagamento, inteso come forma di felicità per le cose “esattamente come stanno”, apertura e connessione. Le emozioni e sensazioni che lo caratterizzano sono quelle di calma, rilassamento, calore, ed è esattamente il sistema che in terapia CFT si promuove, aiutando il paziente a trovare, creare e ricreare dentro di sé questa sensazione di sicurezza. Diversi filoni di ricerca infatti evidenziano che persone che durante lo sviluppo si sono dovute confrotnare con atteggiamenti criticanti di umiliazione o svalutazione, trovano particolarmente difficile generare e accedere a sentimenti di calore interno, rassicurazione, sicurezza, amabilità, sia nella relazione con gli altri che con sé stessi, come se questo sistema di regolazione affettiva fosse “spento”. Molti studi confermano che coltivare pratiche di benevolenza e di compassione aumenta la probabilità di accedere a questi stati mentali benefici, aumenta il benessere e ha effetti sul funzionamento cerebrale e sulla regolazione emotiva (Begley, 2007; Davidson et al. 2003). Ad un percorso di riconoscimento e consapevolezza dell’attivazione e del bilanciamento tra i propri sistemi emotivi, segue l’attuazione di pratiche esperienziali, in particolare: pratiche corporee e di orientamento sensoriale (respirazione, espressione facciale, postura, dialogo interiore ,tono di voce), pratiche evocative ed immaginative (compassione dagli altri/verso gli altri e verso sé stessi), e pratiche basate sul cambiamento motivazionale in ottica di compassione (comprensione empatica della propria sofferenza/ sensibilità/ ragionamento e azioni compassionevoli).
Nella CFT si lavora anche per il riconoscimento delle diverse “mentalità sociali”, ovvero quell’insieme di predisposizioni emotive-motivazionali e di azione verso le altre persone, sempre con un forte significato e utilità in termini evolutivi. Ad esempio la cooperazione, l’accudimento, l’attaccamento, la competizione e la sessualità rispondono a bisogni universali e possono portare ad innescare cambiamenti significativi in funzione dello scopo che si vuole raggiungere. Mentre la compassione è considerata come un’evoluzione, tutta umana, del sistema di accudimento, che può essere “allenata” attraverso pratiche immaginative e corporee (ad esempio: la rievocazione o la creazione di un luogo sicuro/compassionevole). Dopo aver aiutato il paziente a riconoscere e integrare queste diverse parti di sé, una parte specifica del lavoro terapeutico è dedicata all’autocritica: si parte sempre dal mostrare al paziente “a cosa serve”, riconoscendo quindi una funzione e uno scopo a questa tendenza che dà però origine e mantiene la sofferenza. L’autocritica viene vista come frutto della frustrazione legata alla discrepanza tra il sé ideale e il sé attuale, frustrazione che viene “agita” attraverso un attacco a sé stessi. Si conduce quindi il paziente a fare un’analisi funzionale del sé autocritico e del sé compassionevole evidenziando come quest’ultimo sia mediato dal sistema emotivo dell’appagamento e del rilassamento che, contrariamente alla credenza che vede l’autocritica come una spinta al miglioramento di sé, sia proprio quello che predispone la persona a mobilitarsi e mettere in atto azioni per prendersi cura di sé e migliorare il benessere.
In conclusione, l’esperienza del training di primo livello di Compassion Focused Therapy rappresenta una formazione arricchente nella quale ho trovato molti punti di contatto e integrazione con gli approcci basati sulla Mindfulness. Entrambi questi approcci mirano infatti a far emergere l’inestricabile interconnessione tra noi e gli altri, tra la consapevolezza di me stesso e delle mie relazioni. O come ha chiaramente espresso Paul Gilbert: “ la compassione è il coraggio di scendere nella realtà dell’esperienza umana”.
Dott.ssa Elena Lo Sterzo
Psicologa Psicoterapeuta
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