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Il rimuginio: caratteristiche cliniche e spunti per il trattamento

Citazione Consigliata: Bui, S. (2022). “Il rimuginio: caratteristiche cliniche e spunti per il trattamento” [Blog Post]. Retrieved from:  https://www.tagesonlus.org/2022/05/16/il-rimuginio/

 

CHE COS’È IL RIMUGINIO?

Il rimuginio, o worry, è un processo cognitivo centrale nei disturbi d’ansia e in particolare nel Disturbo d’ansia Generalizzato ed è stato introdotto nel campo della psicopatologia cognitiva da Borkovec e colleghi (Borkovec, Inz, 1990). Gli autori definiscono il rimuginio come un evento mentale di tipo prevalentemente verbale e non immaginativo.

Il worry è quindi caratterizzato dalla ripetizione mentale del problema, unita alla predizione di un evento catastrofico imminente che rimane però vago e non dettagliato; il soggetto si trova dunque in uno stato nel quale ogni soluzione possibile appare come non risolutiva del problema (Williams, Watts, McLeod, Mathews, 1997). Come sottolineato in precedenza, essendo il rimuginio un evento verbale, vi è una carenza di immaginazione per cui l’evento catastrofico non viene descritto in modo preciso e approfondito, la minaccia viene vissuta come in grado di portare a conseguenze terribili e irreversibili.

Il fatto che anche questa irreparabilità del danno venga percepita in modo molto vago, contribuisce a rendere la minaccia ancora più terrifica. Non sappiamo se effettivamente ci siano dei fattori predisponenti al rimuginio, ma è stato dimostrato che il worry viene accompagnato da stati di eccessiva vigilanza e di attenzione selettiva nei confronti di stimoli minacciosi sia esterni che interni (Mathews, 1990).

Un aspetto fondamentale da tenere in considerazione quando si parla di rimuginio sono le convinzioni che il soggetto ha rispetto al rimuginare: Wells (2000) le ha suddivise in convinzioni positive e negative.

Per quanto riguarda le convinzioni positive, queste fanno riferimento soprattutto al fatto che il rimuginio possa essere visto come una modalità per gestire le situazioni o per risolvere i problemi. Nello specifico i soggetti rimuginatori ritengono che il continuare a pensare al problema li porti a trovare una soluzione. In realtà, il meccanismo stesso del worry impedisce di trovare una soluzione poiché si tratta di un pensiero ripetitivo e non concreto.

Altra convinzione positiva rispetto al rimuginio è quella dello “scudo emozionale” (Sassaroli, Lorenzini, Ruggiero, 2006): secondo questa teoria, i rimuginatori ritengono che vivere in uno stato di semi-allerta e di preoccupazione li aiuterà ad affrontare meglio (soffrendo e spaventandosi meno) il momento in cui la minaccia si realizzerà.

Per quanto concerne invece le convinzioni negative, Wells le suddivide in due categorie principali: nella prima rientrano tutti i pensieri rispetto al fatto che il rimuginio sia pericoloso e incontrollabile; il soggetto quindi sente di non riuscire più a gestire la propria attività mentale e può arrivare a pensare di impazzire.

Nella seconda categoria, invece, rientrano i pensieri svalutativi e di colpa nei propri confronti: il soggetto attribuisce il fatto di rimuginare all’essere debole caratterialmente e si sente in colpa poiché pensa che il rimuginio possa portare a eventi negativi per sé o per gli altri. Le convinzioni negative appena esposte vengono definite da Wells meta-worry (meta-rimuginio) poiché possono diventare esse stesse l’oggetto del rimuginio.

 

RIMUGINIO E ANSIA

Per molto si è dibattuto rispetto al legame esistente tra rimuginio e ansia, in quanto effettivamente sono rintracciabili molti punti in comune. In entrambi, infatti, il soggetto ha la tendenza a tenere tutto sotto controllo per la paura che le cose vadano male, anche se non è mai chiaro che cosa potrebbe realmente succedere se le cose effettivamente andassero male.

Esiste però una differenza sostanziale tra rimuginio e ansia, che consiste nei correlati fisiologici: mentre nell’ansia lo stato di allerta è accompagnato da correlati fisiologici rilevabili (tachicardia, sudorazione…) nel rimuginio l’arousal fisiologico non è presente. Ecco quindi che la differenza tra worry e ansia non è solo terminologica, ma anche operativa (Sassaroli, Lorenzini, Ruggiero, 2006). Possiamo dunque vedere il rimuginio non come una semplice componente dell’ansia, ma come un vero e proprio processo psicopatogeno dell’ansia.

 

IL TRATTAMENTO DEL RIMUGINIO

Essendo il rimuginio un evento mentale, tecniche e modalità proprie della terapia cognitivo – comportamentale si sono rivelate efficaci nel suo trattamento.

Uno dei primi aspetti da affrontare nella terapia sul worry sono le convinzioni che il paziente ha sul proprio rimuginio: se sono presenti convinzioni positive, queste devono essere smantellate il più precocemente possibile, in modo che non fungano da ostacolo alla terapia. Un modo per lavorare su questo aspetto prevede l’utilizzo del Worry Outcome Diary (Sassaroli, Lorenzini, Ruggiero, 2006): viene chiesto ai pazienti di annotare su un diario giornaliero tutti i contenuti dei loro rimuginii, gli eventi negativi che effettivamente si verificano e il modo in cui li affrontano.

Analizzando quindi il contenuto del diario per varie settimane, diventa chiaro anche ai pazienti che il rimuginio non è per loro utile nell’affrontare gli eventi negativi, che in più si verificano con una frequenza inferiore rispetto ai loro timori.

Una volta modificate le convinzioni positive rispetto al rimuginio, si può iniziare con il trattamento vero e proprio. Una delle tecniche più utilizzate è quella messa a punto da Borkovec e colleghi (1983) che prevede i seguenti step:

  • Insegnare ai pazienti a distinguere il rimuginio da altri pensieri piacevoli collegati al momento presente
  • Stabilire un periodo di tempo di mezz’ora al giorno da dedicare al rimuginio
  • Se il rimuginio compare in altri momenti della giornata, rimandarlo alla mezz’ora dedicata
  • Nella mezz’ora dedicata concentrarsi sui pensieri rimuginativi cercando di trovare soluzioni concrete

Questo protocollo è stato messo a punto partendo dall’idea che se il rimuginio avviene durante tutto il giorno, non ci sono degli stimoli discriminatori specifici in grado di elicitarlo, per cui sarà sempre più difficile per il paziente interromperlo; inoltre era stato notato che i soggetti rimuginatori non sono in grado di interrompere il rimuginio, ma riescono a posporlo.

Questo protocollo, che aveva dimostrato avere una buona efficacia nella riduzione della frequenza del rimuginio già in tre settimane, è stato successivamente modificato con la “worry free zone” da Boutsalis, la quale raccomanda di iniziare chiedendo al paziente di scegliere un periodo di tempo (anche piccolo inizialmente) da mantenere libero dal rimuginio, per poi piano piano aumentarlo (Sassaroli, Lorenzini, Ruggiero, 2006).

Altri interventi utili per la riduzione del rimuginio prevedono l’utilizzo di tecniche di rilassamento e di tecniche di immaginazione che permettono una iniziale fase di desensibilizzazione agli eventi ritenuti minacciosi (Lang, Levin, Miller, Kozak, 1983).

 

Dott.ssa Sara Bui

Psicologa Psicoterapeuta

Membro del gruppo di lavoro “Tages Personality

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

  • Borkovec, T. D., Robinson, E., Pruzinsky, T., & DePree, J. A. (1983). Preliminary exploration of worry: Some characteristics and processes. Behaviour research and therapy21(1), 9-16.
  • Borkovec, T. D., & Inz, J. (1990). The nature of worry in generalized anxiety disorder: A predominance of thought activity. Behaviour research and therapy28(2), 153-158.
  • Lang, P. J., Levin, D. N., Miller, G. A., & Kozak, M. J. (1983). Fear behavior, fear imagery, and the psychophysiology of emotion: the problem of affective response integration. Journal of abnormal psychology92(3), 276.
  • Mathews, A. (1990). Why worry? The cognitive function of anxiety. Behaviour research and therapy28(6), 455-468.
  • Sassaroli, S., Lorenzini, R., & Ruggiero, G. M. (2006). Psicoterapia cognitiva dell’ansia. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Wells, A. (2000). Disturbi emozionali e metacognizione. it. Erikson, Trento 2002.
  • Williams, J.M.G., Watts, F.N., McLeod, C., Mathews, A. (1997), Cognitive Psychology and Emotional Disorders, 2 ed. Wiley, Chichester.
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