CARLO PERRIS, CHI ERA COSTUI?

Citazione Consigliata: Cheli, S. (2019). Carlo Perris, chi era costui? [Blog Post]. Retrieved from: https://www.tagesonlus.org/2019/09/26/carlo-perris/

 

La Riscoperta di Un Pioniere

Quando, ormai oltre 2 anni fa, creammo il blog di Tages Onlus, decidemmo sin da subito di inserire una sezione sui pionieri della psicoterapia. L’idea era di dar rilievo e render tributo a grandi figure della nostra disciplina che, per vari motivi, sono troppo spesso sottaciuti o citati con ben poca cognizione di causa. Parlammo quindi di autori a cui sono personalmente molto legato come Horowitz, Sullivan, Kelly e Jackson. Con questo breve contributo vorrei invece proporre una mia necessariamente parziale riflessione su Carlo Perris, un personaggio fondamentale della psicoterapia di cui fino a non molto tempo fa niente sapevo.

Come molti avevo visto quel nome nelle bibliografie di articoli italiani, con particolare riferimento agli ideatori e sviluppatori della Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI), ed avevo stancamento sfogliato il manuale un po’ datato della Boringhieri sulla terapia cognitivo comportamentale (TCC) per pazienti schizofrenici (Perris, 1996). Con mio grande e successivo rammarico mi feci l’idea di uno dei primi ad applicare la TCC alle psicosi in Italia senza aver aggiunto niente di nuovo o aver lasciato un segno. Iniziai a mettere in dubbio i miei errati pregiudizi prima ascoltando alcuni sibillini rimandi di Antonio Semerari e Giancarlo Dimaggio al ruolo centrale di Perris nella nascita del Terzo Centro e poi realizzando che in realtà era sì italiano, ma sin dall’inizio della sua carriera aveva avuto un’importante posizione nel mondo accademico svedese e non solo.

Carlo Perris nacque nel 1928 a Cosenza per poi laurearsi in medicina a Pavia nel 1951 e specializzarsi in psichiatria e neurologia nel 1954. Già qui devo aggiungere che sono riuscito a scovare il luogo di nascita solo sulla versione svedese di Wikipedia, visto che in quella italiana si parla solo di un omonimo generale del regio esercito (non mi è dato sapere se imparentato col Perris di nostro interesse). Trasferitosi poi in Svezia ed ottenuta l’abilitazione ad esercitare come psichiatra nel 1962, iniziò a lavorare nel manicomio di Sidsjön, tristemente noto per la sua mission di nascondere (visivamente e socialmente) le strutture ed i pazienti psichiatrici al resto del mondo. Dopo poco più di un anno abbandonò questo centro per trasferirsi all’ospedale universitario di Umeå dove divenne professore di psichiatria nel 1971. Dedicò tutta la sua vita allo sviluppo della clinica universitaria di Umeå sino a renderla il centro di riferimento per la TCC in Svezia e un collaborating center dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la ricerca e la formazione nella salute mentale (Herlofson, 2010). Nel 1988 fondò assieme alla moglie e collega Hjördis Perris l’Istituto Svedese di Psicoterapia Cognitiva (Svenska Institutet för Kognitiv Psykoterapi), tutt’oggi il più importante centro nazionale di TCC.

L’opera di Perris sembra muoversi, sin dai primi lavori, lungo tre dimensioni:

– la vulnerabilità come costrutto centrale nella comprensione di una qualsiasi forma e/o modello di psicopatologia (Perris, 1966a, 1998);

– una visione moderna della TCC che viene ripetutamente definita come costruttivista e interazionista (Perris, 1988, Perris, 1999a);

– l’integrazione tra ricerca e clinica come presupposto di un pieno recupero funzionale della persona (Perris, 1966b; Perris & Skagerlind, 1998).

Queste tre dimensioni divengono progressivamente più evidenti nella sua opera sino a intersecarsi in una visione originale ed ancora attuale della TCC che, mi sembra evidente, ha fortemente condizionato lo sviluppo del cognitivismo clinico italiano. Il decennio che intercorre tra l’uscita di Cognitive Processes and Emotional Disorders (Guidano & Liotti, 1983), dove si formula un innovativo approccio strutturale alla comprensione di sé, e l’uscita del più corale Manuale di Terapia Cognitiva (Bara, 1996), dove le diverse prospettive nazionali sembrano almeno in parte convergere, si inserisce a pieno in una rivoluzione in chiave costruttivista e interazionista della TCC a cui Perris ha indubbiamente contribuito. Questa rinascita costruttivista, come la chiamerà Hayes (2004), si caratterizza in Italia per una continua attenzione alla dimensione interpersonale di cui Giovanni Liotti (2005) è forse il più noto rappresentante.

 

Dalla Vulnerabilità Genetica alla Nascita della Metacognizione

Se aprite quello che, in base alle mie conoscenze, è il primo libro italiano di psicoterapia dove si cita sin dalla copertina il costrutto di metacognizione, troverete due interessanti informazioni (Semerari, 1999). La prima riportata dallo stesso Perris (1999b) in cui ricorda come fu lui, al primo congresso internazionale di TCC tenutosi ad Umeå, a proporre di applicare tale approccio a pazienti gravi come quelli affetti da disturbi psicotici e di personalità. La seconda a nome collettivo degli autori del libro (coloro che oggi inseriamo per comodità sotto il medesimo cappello della TMI) in cui si esplicita chiaramente come l’approccio metacognitivo alla psicoterapia sia stato fondato da Perris e Liotti e come, nello specifico, Perris per primo abbia evidenziato come “le tecniche standard di terapia cognitiva trovano un limite alla loro efficacia nei deficit funzionali di questi pazienti e che, pertanto, l’intero assetto della terapia, nelle sue componenti relazionali e tecniche, va modificato tenendo conto di tale problema” (Semerari, 1999, p. 5).

Perris era giunto a questa conclusione divenendo sin dalla fine degli anni 60’ un autore di riferimento degli studi sui disturbi affettivi e psicotici. Se inizialmente i suoi interessi erano prettamente di carattere nosografico e farmacologico, il tentativo di comprendere il costrutto di vulnerabilità lo spinse ad ampliare l’orizzonte del suo agire. Nel cercare di trattare quelle che all’epoca si chiamavano psicosi clicloidi iniziò ad indagare le componenti genetiche dei disturbi affettivi (Perris, 1974), spostando sempre più l’attenzione o meglio convergendo sulla prospettiva psicopatologica moderna per cui la vulnerabilità è la risultante di complesse interazioni genetiche ed evolutive (Cicchetti & Walker, 2003). Tale prospettiva vuole rimarcare da un lato il ruolo attivo del bambino nel selezionare, modificare e creare il suo ambiente, dall’altro una concezione interazionista della vulnerabilità individuale a cui concorrono determinati sociali, eventi traumatici, matrice culturale, etc. Nella comprensione dei disturbi schizofrenici Perris (1998) integra infatti l’idea di Ciompi (1988) per cui oltre alla vulnerabilità genetica vi sia l’internalizzazione di sistemi logico-affettivi di riferimento con la concezione evolutiva della teoria dell’attaccamento di Bowlby (1969) basata sui modelli operativi interni.

Pertanto quello che Perris chiamava un approccio metacognitivo al trattamento di casi complessi, come disturbi psicotici e di personalità, si definisce tale poiché “non è primariamente focalizzato sulla correzione dei deficit cognitivi di base o sulla risoluzione di specifici sintomi. Il suo fine ultimo è, piuttosto, di ottenere una ristrutturazione dei modelli operativi interni del sé e degli altri” (Perris & Skagerlind, 1998, p. 199), ponendo particolare attenzione alla ricorrenza dei cicli interpersonali disfunzionali e alla conoscenza tacita come definiti rispettivamente da Safran (Safran & Segal, 1990) e Polanyi (1966). Ogni rimando al cognitivismo italiano e alla TMI è totalmente non casuale! Basti pensare come nel libro che, a mio avviso, rappresenta il punto di arrivo del pensiero di Perris (Perris & McGorry, 1998), questi definisca il proprio approccio metacognitivo e integrato (cap. 11), Liotti introduca il modello cognitivo-evoluzionista come finalizzato al recupero dei deficit metacognitivi (cap. 18), Sassaroli e Lorenzini invitino a considerare in chiave costruttivista anche le esperienze deliranti (cap.9), Safran descriva in un’ottica interpersonale il trattamento del disturbo narcisistico di personalità (cap. 20).

 

Una Visione Integrata e Modulare

Senza voler passare in rassegna tutte le pubblicazioni di Perris, mi preme però sottolineare un aspetto, penso, cruciale per la comprensione del suo approccio e del futuro della psicoterapia. Le sue pubblicazioni lasciano trasparire un continuo e prolifico dialogo tra un pensiero prettamente clinico di chi quotidianamente vede e lavora con pazienti complessi, un pensiero sperimentale in cui le idee e le prassi vengono costantemente messe a verifica, ed infine un pensiero organizzativo di chi, non tanto per ambizione manageriale, quanto per finalità terapeutiche, ha cercato di comprendere quale fosse il percorso riabilitativo più efficace. Nei due manuali internazionali di psicoterapia cognitiva da lui curati nell’arco di 10 anni (Perris, Blackburn & Perris, 1988; Perris & McGorry, 1998) si integrano teorie e tecniche in quanto efficaci e epistemologicamente coerenti e non perché affiliate alla medesima parrocchia. Al contempo, si propongono programmi di intervento modulari e progressivi in cui la psicoterapia svolge un ruolo centrale, ma passo dopo passo sempre più marginale. L’obiettivo (lo so sembra scontato, ma non lo è quando vi aggirate tra i simposi o le riviste del settore!) non è il dimostrare la bontà esclusiva del proprio approccio quanto la centralità della qualità di vita del paziente, per come definita da questi. La clinica per pazienti schizofrenici da lui creata divenne uno dei centri di riferimento mondiali e si caratterizzò per un’apertura all’esterno ed una promozione del recupero sociale delle persone che appare oggi assai in contrasto con le sue prime esperienze al manicomio di Sidsjön. Nel rileggere articoli e saggi sull’opera di Perris dispiace solo vedere la disparità tra la rilevanza attribuitagli in Svezia e nel mondo rispetto al ricordo che appare assai sfuggente nella sua nazione natale. Mi auguro dunque di sbagliarmi ed archiviare il tutto come mia personale ignoranza!

 

 

Dott. Simone Cheli

Psicologo e Psicoterapeuta

 

 

Bibliografia

Bara, B. (Ed.) (1996). Manuale di Terapia Cognitiva. Torino: Bollati Boringhieri.

Bowlby, J. (1969). Attachment and Loss. Vol. 1 Attachment. London: Hogarth.

Cicchetti, D., & Walker, E. (Eds.) (2003). Neurodevelopmental Mechanisms in Psychopathology. Cambridge University Press: Cambridge.

Ciompi, L. (1988). The Psyche and Schizophrenia. The Bond between Affect and Logic. Cambridge: Harvard University Press.

Guidano, V.F., & Liotti, G. (1983). Cognitive Processes and Emotional Disorders. New York: Guildford.

Hayes, S. C. (2004). Acceptance and commitment therapy, relational frame theory, and the third wave of behavioral and cognitive therapies. Behavior Therapy, 35(4):639-665.

Herlofson, J. (2000). Carlo Perris 1928–2000. Scandinavian Journal of Behaviour Therapy, 29:3-4, 97-99.

Liotti,G. (2005). La Dimensione Interpersonale della Coscienza. Roma: Carocci Editore.

Perris, C. (1966a). A study of bipolar (manic-depressive) and unipolar recurrent depressive psychoses. Acta Psychiatrica Scandinavica, 41: 83-91.

Perris, C. (1966b) Community psychiatric service and after-care of the patients returned to the community in the organisation of a Swedish mental hospital. International Journal of Social Psychiatry, 12(4), 293–298.

Perris, C. (1974). A study of cycloid psychoses. Acta Psychiatrica Scandinavica, 50: 7-79.

Perris, C. (1988). The foundations of cognitive psychotherapy and its standing in relation to other psychotherapies. In C. Perris, I.M. Blackburn & H. Perris (Eds.) Cognitive Psychotherapy (pp. 1-43). New York: Springer-Verlag.

Perris, C. (1996). Terapia Cognitiva con i Pazienti Schizofrenici. Torino: Bollati Boringhieri.

Perris, C. (1998). Defining the concept of individual vulnerability as a base for psychotherapeutic interventions. In C. Perris & P.D. McGorry (Eds.) Cognitive Psychotherapy of Psychotic and Personality Disorders (pp. 21-36). Chichester: John wiley & Sons Ltd.

Perris, C. (1999a). A conceptualization of personality‐related disorders of interpersonal behaviour with implications for treatment. Clinical Psychology & Psychotherapy, 6: 239-260.

Perris, C. (1999b). Prefazione. In A. Semerari (Ed.) Psicoterapia Cognitiva del Paziente Grave. Metacognizione e Relazione Terapeutica (pp. XI-XII). Milano: Raffaello Cortina Editore.

Perris, C, & Blackburn, I.M., & Perris, H. (Eds.) (1988). Cognitive Psychotherapy. New York: Springer-Verlag.

Perris, C., & McGorry, P.D. (Eds.) (1998). Cognitive Psychotherapy of Psychotic and Personality Disorders. Chichester: John wiley & Sons Ltd.

Perris, C., & Skagerlind, L. (1998). An integrated, multilevels, metacognitive approach to the treatment of patients with schizophrenic disorder or a severe personality disorder. In C. Perris & P.D. McGorry (Eds.) Cognitive Psychotherapy of Psychotic and Personality Disorders (pp. 197-212). Chichester: John wiley & Sons Ltd.

Polanyi, M. (1966). The Tacit Dimension. Garden City: Doubleday.

Safran, J., & Segal, Z.V. (1990). Interpersonal Processes in Cognitive Therapy. New York: Basic Books,

Semerari, A. (Ed.) (1999). Psicoterapia Cognitiva del Paziente Grave. Metacognizione e Relazione Terapeutica. Milano: Raffaello Cortina Editore.

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